La Redazione di HaKeillah
Quando nel 1975 uscì il primo foglio de ”La Comunità”, (il giornale coniò il proprio nome ebraico solamente a partire dal numero 1, che riportiamo all’interno di questo numero), immagino che nessuno pensasse davvero che quella iniziativa estemporanea potesse fiorire e svilupparsi in maniera così importante e raggiungere questo cinquantesimo anniversario.
HaKeillah nasce così: un foglio di protesta fondato da un gruppo di giovani ebrei torinesi in risposta a smaccati abusi di potere che l’establishment comunitario di allora e, segnatamente, il presidente della comunità perpetravano verso la minoranza eletta in consiglio. Una minoranza giovane e politicizzata, come era comune in Italia negli anni Settanta, che ambiva a fare della comunità un luogo di aggregazione sociale e culturale, basato su una convivenza ed una partecipazione non elitaria, ma anzi di solida matrice democratica ed antifascista.
Il numero di giornali dei giovani di sinistra che usciva in quegli anni è senz’altro molto grande, ma quelli che hanno saputo organizzarsi e raggiungere i cinquant’anni di vita sono davvero pochissimi.
HaKeillah è nato per merito di due poli in un solido rapporto dialettico tra di loro: la redazione che, sotto la guida politica esperta di Giorgina Arian Levi, ha saputo impostare un giornale di alto livello politico e culturale, e il Gruppo di Studi Ebraici di Torino (GSE), che ne ha sempre avuto la proprietà formale, che ha avuto la lungimiranza politica di scegliere dei direttori per il giornale e dei redattori, per poi lasciarli lavorare in assoluta indipendenza, contribuendo semmai con articoli alla linea politica del giornale, ma senza mai cercare di influenzare le scelte della redazione.
Entrambi hanno presto capito che il giornale poteva ambire non solo ad essere uno strumento per opporsi più efficacemente alla gestione della comunità di Torino, ma che le stesse tematiche di dialettica democratica presenti nella nostra comunità erano presenti nel resto delle comunità italiane, all’interno dell’UCII (poi UCEI), e soprattutto hanno capito che un giornale deve rappresentare uno spazio di dibattito politico e culturale su tutti i temi ebraici (ma non solo), che altrove non trovavano, e ancora oggi non trovano, spazio di espressione. Questa scelta ha però costituito un richiamo molto forte per un gran numero di persone, intellettuali e persone comuni, che, numero dopo numero, anno dopo anno, decennio dopo decennio, hanno voluto dare il loro contributo di idee, di ragionamenti, di esperienze e di storie al giornale.
Sfogliando la raccolta dei numeri di HaKeillah, quello che più appare con forza è la varietà dei temi trattati e la libertà con cui questi vengono affrontati. Questa libertà di espressione, di critica, di analisi, rappresenta poiun manifesto politico di valore intrinseco. È forse il più definitivo programma politico che la sinistra ebraica sia mai stata in grado di formulare: la relazione tra gli ebrei e l’ebraismo non deve essere rappresentata né da un fuori ed un dentro, né tantomeno da una serie di cerchi concentrici in cui al centro risiede il buon ebreo e poi.centro man mano che ci si allontana dal centro, gli altri in funzione del proprio grado di adesione alle mitzvot (precetti) o di supporto manifestato verso Israele.
HaKeillah è così cresciuto negli anni libero ed aperto al confronto ed al dibattito, uno spazio in cui è possibile, lecito ed auspicabile scrivere e confrontarsi su temi scomodi. Su HaKeillah, si può criticare o difendere Israele, i suoi governi, le sue politiche, come si può criticare o difendere il governo italiano, si può parlare di ebraismi differenti da quello ortodosso, si possono affrontare i temi dell’inclusione (o forse meglio dire oggi dell’esclusione) dei movimenti e delle persone LGTBQ+ all’interno delle comunità ebraiche.
Non sarebbe giusto non ricordare in questo articolo anche il ruolo, spesso determinante, che HaKeillah ha svolto in occasione di tante elezioni politiche locali e nazionali, quando attorno al giornale si sono formate le liste elettorali tanto per la comunità di Torino quanto per i congressi dell’UCEI. Anche in quei casi il giornale ha dimostrato la sua vitalità e la sua capacità di aggregazione politica per la sinistra ebraica italiana.
Certamente la comunità ebraica di Torino cinquant’anni fa era molto più numerosa e culturalmente effervescente di quanto non lo sia attualmente: oggi è a volte difficile trovare le persone che vogliono impegnarsi in redazione e trovare le energie per continuare, mese dopo mese, ad uscire in forma cartacea ed on line. Infatti, HaKeillah oggi ha redattori provenienti da differenti comunità italiane, aumentando così ancora di più la propria propensione ad essere punto di riferimento per tutta la sinistra ebraica italiana.
Cinquant’anni per un giornale possono essere tanti e pochi, o anche tanti e pochi allo stesso tempo. Per un piccolo giornale bimensile, con ambizioni culturali e politiche, gestito da un piccolo gruppo di una piccola comunità ebraica della piccola diaspora italiana: cinquant’anni sono senz’altro un traguardo di cui andare fieri.