L’ebreo spinozista
di Giorgio Berruto
“La scomunica è stata rimossa! Terminata l’offesa dell’ebraismo contro di te! Espiata la tua colpa! Sei nostro fratello! Sei nostro fratello! Sei nostro fratello!”, proclamava nel 1927 lo storico delle religioni Joseph Klausner, il famoso “zio Joseph” ritratto da Amos Oz in Una storia di amore e di tenebra. Duecentocinquanta anni dopo la sua morte, Spinoza veniva così riabilitato e riammesso in seno all’ebraismo nel luogo simbolo dell’università ebraica di monte Scopus, a Gerusalemme. Nel novembre 2021 un altro Joseph, il rabbino capo della sinagoga portoghese di Amsterdam Joseph Serfaty, ha dichiarato “persona non grata” un illustre studioso di Spinoza, Yitzhak Melamed, in una lettera dai toni come minimo aspri scritta senza consultare il consiglio della comunità. Nel testo surreale la richiesta avanzata da Melamed di girare un documentario per una nota emittente tv israeliana veniva definita “incompatibile con la nostra secolare tradizione halachica, storica ed etica” e un autentico “attacco alla nostra identità”. Ne sono seguiti uno scandalo pubblico e una crisi comunitaria di cui si è reso conto all’epoca su queste stesse colonne.
Confrontarsi con Spinoza è oggi un obbligo o quasi per chi intende riflettere sulla condizione ebraica nella contemporaneità. È la tesi di Federico D’Agostino in un libretto di esile mole intitolato L’ebreo spinozista (Marietti 1820). Si tratta di un confronto fondamentale sul terreno instabile dell’identità: non di quella di Spinoza però, ma della nostra. A patto di non dimenticare che l’identità non è un dato oggettivo della realtà ma un fantasma (etimologicamente, un idolo), un modo cioè con cui cerchiamo di rappresentare noi stessi. In questo senso l’identità riguarda ciò che vogliamo essere, non ciò che siamo. Rimane comunque un fatto che l’ebraicità di Spinoza è indubbiamente un problema, non però un problema suo. Un problema al contrario che nasce in seguito all’emancipazione, in contesti nei quali la grande maggioranza degli ebrei vive nella modernità, anche se con gradi di esposizione molto differenti alla tradizione rabbinica.
Non sappiamo esattamente di che cosa sia stato accusato Spinoza. Aspetto, questo, che lascia il campo a speculazioni più e meno verosimili come quelle del romanziere Irvin D. Yalom nel suo trascurabile Il problema Spinoza (Neri Pozza). Conosciamo invece il testo violentissimo del cherem, la cacciata dalla comunità. Sappiamo inoltre che Spinoza non ha mai chiesto la revoca del bando, vivendo una vita di lavoro e studio all’insegna dell’isolamento. Non si è convertito al cristianesimo maggioritario, anche se è legittimo chiedersi se sia stata più una scelta di lealtà nei confronti delle origini oppure di modernità, considerando equivalente perché non decisiva l’adesione a questa o quella religione rivelata. Dopo la morte e la pubblicazione dell’Etica, Spinoza diventa per gli uni nemico dell’umanità, per gli altri eroe del libero pensiero. Il suo nome serpeggia nei circoli libertini e deisti inglesi e francesi. A partire dalla seconda metà del Settecento in Germania non c’è filosofo che non faccia i conti con Spinoza e con il panteismo. Una fortuna che va da Mendelssohn a Jacobi, da Schelling a Hegel, da Goethe fino a Nietzsche e sulla quale rimangono insuperate le pagine dedicate da Karl Löwith nel suo Spinoza. Deus sive natura (Donzelli).
La parte più interessante del lavoro di D’Agostino è quella sui tentativi da parte ebraica e in particolare sionista di riabilitare Spinoza. Ma ha senso la richiesta più volte formulata di revocare l’editto di espulsione? Ha senso dopo tanto tempo accogliere l’esiliato nell’alveo della tradizione? Per Moses Hess Spinoza va contrapposto al falso messia Shabbetai Tzevi nella qualità di “vero messia”, in quanto progenitore del nazionalismo ebraico. Nella critica di Spinoza alla tradizione religiosa ebraica medievale e moderna, quella fondata sui testi rabbinici, Hess romanticamente legge la critica a un modello di civiltà. La civiltà dei ghetti imposti e autoimposti, della subalternità politica e della politica, dello studio a lume di candela nelle yeshivot di regole antiche e spesso inapplicabili nell’attesa del messia. Una civiltà sterile, per Hess, che verrà superata grazie all’opera di un manipolo di coraggiosi, i sionisti, in grado di prendere in mano il proprio destino. Altri, inclusi rabbini sionisti come Abraham Y. Kook, vedono nel monismo di Spinoza un motivo profondamente ebraico. La realtà è una sola, spiega Spinoza nell’Etica contro Cartesio che aveva parlato di due realtà irriducibili una all’altra, il pensiero e l’estensione. Questa unica sostanza, che chiamiamo dio o natura, si estrinseca attraverso infiniti attributi in infinite singole realizzazioni, o modi, ma è una come uno è il Dio creatore della tradizione. In generale nel primo trentennio del Novecento Spinoza viene celebrato dagli intellettuali ebrei tedeschi. A fare eccezione è Martin Buber, che dopo una prima adesione si allontana dal modello spinozista. Il dio-natura di Spinoza è infatti sommamente impersonale, e invece per il Buber maturo che propone con L’io e il tu una nuova filosofia della relazione, Dio deve essere innanzitutto soggetto di relazione, cioè persona. Ci sono anche tentativi di recuperare Spinoza all’ebraismo non sulla base della filosofia ma della sua vita. Spinoza non si converte e conduce una vita ritirata di studio e lavoro, rifiutando una cattedra universitaria che gli avrebbe portato onori e fama. Per questo Ben Gurion lo descrive come un Socrate ebreo. Le qualità morali e intellettuali di Spinoza diventano in questo modo qualità ebraiche. Il prezzo pagato per ricondurre Spinoza all’ebraismo è l’allargamento della categoria di ebraismo in modo da contenere Spinoza e soprattutto “l’ebreo spinozista” contemporaneo. Ma integrità morale e profondità di pensiero non sono evidentemente caratteristiche peculiari soltanto degli ambienti ebraici.
Con l’esaurirsi del sionismo successivamente alla fondazione dello stato di Israele l’attualità di Spinoza non si esaurisce ma almeno in certa misura evolve. Spinoza e lo spinozismo, per esempio, sono ingredienti fondamentali nella narrativa di due grandi romanzieri del secondo Novecento, Isaac B. Singer e Bernard Malamud. Ma la domanda sull’identità e dunque su Spinoza si riflette oggi anche nelle iniziative culturali. Fino a settembre 2023 il Museo ebraico di Amsterdam ospita la mostra Me, Jewish?! Jewish Identity in Four Centuries of Personal Texts, che si apre con un profilo di Uriel da Costa, ex marrano tornato all’ebraismo e poi bandito con un cherem dalla comunità portoghese di Amsterdam per le idee razionaliste e le critiche al rabbinato. Per poter essere riammesso nella comunità Da Costa accetta di confessare pubblicamente i propri errori, riceve trentanove frustate legato a una colonna e infine, sdraiato a terra all’ingresso della sinagoga, viene calpestato dai fedeli. Poco dopo questa umiliazione si toglie la vita. Era il 1640. Sedici anni più tardi il cherem sarebbe toccato a Spinoza. La scelta dei curatori della mostra è rivelatrice di una priorità del nostro tempo.
Federico D’Agostino, L’ebreo spinozista, prefazione di Piero Stefani, Marietti 1820, Bologna 2023, pp. 80, € 8,50