SPRAZZI DI MEMORIA

 di  Franco Segre

PASSATEMPI A LUGANO

I pasti

Nella grande sala dell’hotel Majestic di Lugano, ridotto a campo di raccolta dei profughi in Svizzera, si consumano due pasti giornalieri: il vitto non è abbondante, ma sufficiente per togliere la fame. Dominano le patate, che sono state preventivamente preparate dal lavoro di rifugiati, tra cui il mio papà che ha ricevuto la nomina di  “capo pelatore” ed è temuto per i suoi rimproveri rivolti a chi non lavora bene.

Sovente il pasto è interrotto provvisoriamente da comunicazioni ai profughi da parte di ufficiali dell’esercito. A volte sono raccomandazioni o ingiunzioni ai rifugiati sui loro comportamenti. In altri casi sono comunicazioni sulla destinazione di profughi verso i campi di lavoro. Sono quasi sempre accompagnate da applausi o da lamenti degli interessati.

Stornelli e preghiere

“Noi cantiamo degli stornelli
per i brutti e per i belli.
Se qualcuno se ne avrà male
lo faremo volar dalle scale.
La canzon firufirulin firufirulèla, …
la canzon firufirulin firulirulin firulirulà
la canzone è questa qua.

……….

Così cominciano gli stornelli che un gruppo di rifugiati canta ogni venerdì sera per prendere in giro benevolmente i comportamenti e le parole di altri internati.  Ma nessuno si offende: tutti ridono e scherzano. Interessandomi di questo gioco, mi reco poi nelle scale per vedere se qualcuno si è realmente offeso ed è quindi volato dalle scale, ma rimango deluso: non trovo nessuno! Quando sarò più grande e parteciperò   ai campeggi   estivi organizzati dalla Federazione Giovanile Ebraica, troverò con sorpresa nel cosiddetto Shofar Chamorim di ogni venerdì sera  lo stesso tipo di divertimento.

Nel venerdì sera e nel sabato ci sono altri comportamenti: gli ebrei presenti si radunano per pregare, e non vi sono difficoltà nella partecipazione al minian¸ cioè al minimo numero legale di adulti maschi. L’ufficiante abituale è il Sig. Servi, che fa sfoggio di intonazioni per me nuove che poi mi rimarranno impresse per tutta la vita. Sono fiero che tra i chazanim (gli ufficianti) ci sarà pure il mio papà.

Molti ebrei rifugiati si lamentano di non avere un Rabbino stabile. A volte nei sabati compare il Rav Castelbolognesi, che, pur essendo un italiano all’estero, è un cittadino libero che arriva in ritardo rispetto ai nostri orari, fa discorsi per me incomprensibili e rifiuta i nostri pasti per motivi di kasherut.

Spille finte

La mamma si dà da fare nei tempi liberi (di sera e di notte) con un’occupazione nascosta che la impegna attivamente: con la mollica del pane avanzato crea modelli di fiori, che poi lega insieme con filo di ferro per farne piccoli mazzetti. Quindi li dipinge con coloranti, imitando le tinte autentiche. Ottiene così l’imitazione di spille a fiori, belle da vedere e da indossare sopra maglie e camice.

Negli orari leciti, la mamma va con la famiglia al di fuori dell’albergo nell’ora di libera uscita, e, per una volta, porta una finta spilla attaccata alla camicetta. Ci fermiamo davanti alla vetrina di un negozio di oreficeria in cui, tra l’altro,  si vendono spille a fiori d’oro e d’argento reali, molto simili nell’aspetto a quella indossata dalla mamma. La proprietaria ci fa entrare e, dopo aver ammirato la spilla sulla camicetta, chiede  alla mamma come ha fatto ad ottenerla. La mamma non si vergogna nel risponderle che l’aveva fatta e dipinta lei stessa.  La negoziante le propone di realizzarne una cinquantina e di vendergliele all’ingrosso ad un prezzo più che adeguato al valore della merce. Contando le sere e forse le notti in cui avrebbe lavorato, la mamma accetta e riceve subito la promessa dalla negoziante di pagare un anticipo più che adeguato. La mamma chiede: “Vengo domani?” e la risposta è “Domani il negozio è chiuso.” La mamma insiste: “Perché?” e la risposta definitiva, accompagnata da un bel sorriso, è “Domani è Purim!”. Si scopre così che è un’ebrea residente a Lugano che utilizza l’occasione buona per fare tzedakah ad una profuga.