Sprazzi di memoria

di Franco Segre

Dino, il mio cugino

L’hotel Majestic di Lugano, ridotto a campo per i profughi, è spogliato da ogni ricchezza: le scale di marmo ricoperte di legno, gli ascensori bloccati, i saloni disadorni, i corridoi e le sale con luci spente suscitano impressioni di incertezza e di timore. Siamo reclusi dentro pareti solide ma prive di ogni lusso, governati dai militari, con sentinelle al portone di ingresso che si alternano con turni di due ore. Dopo qualche tempo la mia famiglia ottiene ogni settimana il permesso di libera uscita per due ore di apparente libertà, che, nel confronto con gli altri passanti nella strada, ci fa sentire la sensazione di povertà e ci fa incontrare la compassione dei liberi passanti. Ma con lo scorrere del tempo l’abitudine ha il sopravvento.

I rifugiati si raccolgono per i pasti in gruppi familiari nella sala da pranzo. Il cibo è a base di patate; non è abbondante ed è di qualità mediocre, ma sufficiente a togliere la fame. L’ufficiale che ha l’incarico di capo-campo, proveniente dalla Svizzera tedesca, arringa i presenti con annunci ed ordini in lingua italiana piena di errori.

Nei primi tempi di soggiorno al Majestic non ho amici della mia età con cui giocare e provo sensazioni di noia e di tristezza, fino a quando non arriva Dino, un ragazzo poco più che ventenne, piacevole e divertente, che mi viene presentato da papà e mamma come mio cugino. È un rifugiato che è riuscito ad arrivare in Svizzera dopo aver perso il resto della famiglia, catturata dai tedeschi. È un lontano parente, che non avevo mai incontrato in Italia, e di cui ignoravo l’esistenza. Quando ci incontriamo nei corridoi, mi intrattiene con gioia e mi dice scherzosamente: “Chi sono io? Dino, il tuo cugino!”. Trova sempre il modo di farmi giocare, con indovinelli, trucchi e barzellette. Nonostante la grande disgrazia subita con la perdita della sua famiglia, è sempre di ottimo umore e diventa per me in breve tempo un vero amico.

Ma il gioco non dura a lungo: dopo qualche tempo si sparge tra gli internati la notizia che Dino è scappato e non si sa dove sia andato. Dopo alcuni giorni di preoccupazione, arriva una lettera scritta da Dino dall’Italia: scrive che, come rifugiato, si sentiva un vigliacco mentre molti coetanei italiani combattevano in Italia per la libertà: ha quindi attuato il progetto di fuggire, di riattraversare di nascosto il confine ed unirsi ad una banda di partigiani. Anch’io vengo informato e attendo con ansia altre successive informazioni.

Dopo giorni di attesa e di ansia arriva alla mamma una lettera dall’Italia, e io chiedo subito notizie su Dino: la mamma, triste e imbarazzata, con le lacrime agli occhi, mi risponde: “Dino è un eroe!!”