di Giordana Menasci

Alla vigilia di Kippur dell’anno 5784 si è spento lo zio Fausto; la dipartita di Fausto Tagliacozzo z”l, ultimo in vita dei quattro figli di Tosca, chiude una significativa parentesi della storia familiare. Romano di nascita, in seguito alla deportazione ad Auschwitz dei genitori, venne portato dagli zii, insieme ai suoi tre fratelli, in Terra di Israele.

I fratelli Tagliacozzo assaporarono il gusto agrodolce del Sionismo di quegli anni, intriso di ideali, speranza e tenacia, strumento fondamentale quest’ultimo a superare i grossi ostacoli che la nuova vita imponeva.

Tuttavia questo percorso venne interrotto dall’inaspettato e graditissimo ritorno della madre, reduce dei campi.

Tosca arrivò a Roma e non trovò i suoi figli, li raggiunse in Israele con non poche difficoltà e con altrettante difficoltà e dubbi decise di riportarli con sé in Italia.[1] Lo zio Fausto nel ‘67 si trasferì a Torino, con la zia Lia, dove passò tutta la sua vita svolgendo la professione di neuropsichiatra e partecipando attivamente alla vita comunitaria ebraica; fu uno dei fondatori del periodico Ha Keillah e del Gruppo di studi ebraici.

Il tormento della decisione di Tosca se riportare con sé in Italia i figli, è egregiamente espresso da una fitta corrispondenza che intrattenne con i suoi adorati ragazzi e con la sua famiglia.

Fausto nelle sue lettere di giovane ebreo, già fortemente segnato dalla vita, esprimeva una grande saggezza e un fortissimo amore per sua madre.

Quando lessi la corrispondenza mi colpirono le frasi piene di trasporto uscite dalla penna del giovane Fausto, lo stesso gentile zio torinese che già da diversi anni conoscevo e frequentavo in occasioni familiari.

Io ho conosciuto lo zio poco più che ventenne quando entrai nella famiglia Tagliacozzo; ricordo che lo incontrai insieme a zia Lia a casa dei miei suoceri e fui immediatamente colpita dalla loro accoglienza, connotata da una gentilezza complementare; l’interesse e le domande di zia Lia, poste in modo garbato, erano mosse dal sincero interesse nei confronti del prossimo, sempre ratificate dagli interventi puntuali e concisi di zio Fausto. Gli zii ascoltavano con interesse le risposte esprimendo sempre, anche nelle conversazioni familiari, una sintonia tra di loro; zio Fausto, come del resto tutti gli uomini della famiglia, considerava la moglie un’alleata, una compagna esclusiva con cui condividere tutto.

Mi colpivano di lui i movimenti lenti e il modo in cui ti osservava, segno di una forte capacità di analisi; sembrava riuscisse a leggere le persone, qualità probabilmente innata ma potenziata dalla sua professione; era in grado di fare domande precise, analitiche e sufficienti ad inquadrare situazioni e persone.

Tanto apprezzava l’intelligenza e vivacità degli individui quanto manifestava insofferenza per le superficialità e le parole in eccesso.

Negli anni espresse rigore e riservatezza soprattutto sul doloroso passato familiare che coinvolgeva lui, i suoi fratelli ma soprattutto la madre che aveva lasciato in eredità un prezioso diario sul periodo della deportazione. Ciò probabilmente perché la sua spiccata intelligenza e profonda sensibilità gli davano consapevolezza di quanto fossero fragili gli equilibri emotivi di tutti coloro che portavano sulla propria pelle cicatrici ancora fresche.

Zio Fausto lascia un’importante eredità in termini di onestà intellettuale, contributo culturale e solidarietà familiare che sicuramente la sua famiglia tutta e la sua comunità porteranno nel cuore.

Che il suo ricordo sia di benedizione.

 

[1] La complessa vita della sua famiglia è narrata nel libro “Il ritorno di Tosca” di Giordana Tagliacozzo, Silvio Zamorani Editore.

image_pdfScarica il PDF