di Sandro Ventura

 

Il 5 gennaio 2023 ci ha lasciato Bruno Di Porto. Nato a Roma nel 1933, Bruno ha avuto una vita particolarmente intensa e gioiosa: si è dedicato allo studio della storia contemporanea, del Risorgimento e del giornalismo, all’insegnamento universitario, alla diffusione del pensiero repubblicano mazziniano essendo anche direttore, per molti anni, della Domus Mazziniana di Pisa. In campo ebraico ha affrontato lo studio della cultura e della lingua ebraica e si è attivato per la promozione dell’ebraismo liberale e del dialogo interreligioso.

Ho conosciuto Bruno tramite il CGE (Centro Giovanile Ebraico) di Firenze, perché ho frequentato negli anni Settanta un breve corso nella comunità di Livorno, da lui organizzato insieme a Rav Giuseppe Laras, sui precursori ottocenteschi del sionismo politico (tra cui Benedetto Musolino, Carlo Cattaneo e Moses Hess). Era un oratore brillante e coinvolgente, e comunicava entusiasmo e curiosità per questi autori poco conosciuti. Soprattutto l’ho apprezzato nei primi colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli, negli anni Ottanta, perché portava un punto di vista ebraico particolarmente aperto, laico ed universalista, ma anche molto legato alla tradizione ed alla dimensione religiosa dell’ebraismo. Un punto di vista, il suo, che ho in gran parte condiviso. In particolare, ricordo un suo intervento ad un colloquio di Camaldoli, in cui rivendicava appassionatamente l’ebraismo di Gesù, spesso sottovalutato, e talvolta totalmente rimosso, sia nei contesti cristiani sia in quelli ebraici più tradizionalisti e fondamentalisti. Da storico, non poteva trascurare la portata del pensiero e della predicazione di Gesù di Nazareth e gli effetti che essa ha avuto in tutto il mondo, da allora fino ad oggi.

In tutta la sua vita si è prodigato per la promozione del movimento ebraico progressivo in Italia, ed è in questo contesto che ci siamo ritrovati. Avevo sentito che a Milano stava prendendo vita un gruppo di ebrei progressivi, Keshet (arcobaleno) e così decisi di partecipare, con tutta la mia famiglia, ad uno shabbat. Il gruppo era molto numeroso e vivace e comprendeva sia partecipanti motivati da interessi laico-umanisti, sia da interessi religiosi. Qualche mese dopo la mia visita le due componenti di Keshet si separarono: i religiosi progressivi, dietro forte impulso di Bruno, si organizzarono per dare vita a Lev Chadash (cuore nuovo), la prima sinagoga italiana a carattere progressivo/liberale. L’altro gruppo, meno interessato agli aspetti religiosi, cominciò a pubblicare la rivista Keshet che ebbe come primo direttore Bruno Segre.

Ricordo che in quella mia prima visita rimasi molto impressionato dalla kawwanah di Bruno, il fervore con cui partecipava alla tefillà (funzione religiosa), condotta dal rabbino David Goldberg di Londra, da lui stesso invitato a Milano come primo riferimento autorevole per la comunità di Lev Chadash. Allora ero molto preoccupato ed ansioso per il destino dei miei figli, di madre non ebrea, i quali, pur avendo avuto un’educazione ebraica aperta ed universalista, erano stati rifiutati dalla comunità ortodossa di Firenze. Bruno mi aveva proposto di parlarne a Rav Goldberg, col quale conversai subito dopo la kabbalath shabbath. Rav Goldberg mi tranquillizzò molto: “Non devi fare nulla – mi disse – perché nelle nostre comunità progressive i tuoi figli possono essere tranquillamente accolti senza problemi. Il nostro ebraismo è inclusivo”. Fu in quell’incontro, che dietro ispirazione di Bruno, di Rav Goldberg e di tutto il gruppo di Lev Chadash, fui motivato a fondare la comunità progressiva Shir Hadash (canto nuovo) a Firenze. Se si può fare a Milano, mi dissi, perché non si può fare a Firenze? Questo tipo di ebraismo, inclusivo e con lo sguardo rivolto al futuro più che al passato è quello che sento e condivido. Tutto ciò avvenne grazie all’impegno di Bruno, che da allora al momento della sua morte è stato un riferimento spirituale ed educativo per Lev Chadash, per il movimento ebraico progressivo e per tutto l’ebraismo italiano. Bruno ha accompagnato la sua comunità, ed ha aiutato e spinto per dare vita alla Federazione Italiana per l’Ebraismo Progressivo (FIEP), nata nel 2017, che permette di mantenere uno stretto e strutturato collegamento fra tutte le realtà italiane che si ispirano a questa importante corrente del pensiero ebraico contemporaneo.

Bruno era piccolo, magro, agile, rapido nei movimenti, e parlava con una voce tenorile dall’accento vagamente romano, in modo forbito, talvolta un po’ troppo accademico, e accattivante. Era ironico, arguto, curioso (soprattutto per tutto ciò che riguardava la vita ebraica), empatico. Condivisi con lui la partecipazione al congresso della World Union for Progressive Judaism (WUPJ) nel 2003 a Gerusalemme, lui delegato di Lev Chadash ed io di Shir Hadash. Eravamo i soli rappresentanti italiani, e per la prima volta entravamo in contatto con quel contesto internazionale costituito da un paio di centinaia di delegati da tutto il mondo. In quei giorni abbiamo condiviso quella forte e toccante esperienza, avvicinandoci notevolmente e maturando un’amicizia ed una stima reciproca che ci ha accompagnato sempre. Ricordo che a quel congresso, nella tefillà di Shachrit shel Shabbat, davanti alla splendida vista di una Gerusalemme soleggiata e tersa che si godeva dal centro della WUPJ, gli organizzatori ci avevano relegato nell’angolo: tutte le delegazioni avevano detto qualche parola della tefillà, con la traduzione nella loro lingua. Noi due italiani niente. Ma Bruno si era mosso rapidamente: con grande prontezza ed intuito, era andato a parlare con gli organizzatori, ed aveva ottenuto di poter dire lo “Shemà” (Ascolta Israel), con la traduzione nella “safà shel Dante”, nella lingua di Dante.

Ricordo che nei momenti liberi del congresso abbiamo fatto interessanti chiacchierate, ed in particolare me ne è rimasta impressa una sul sionismo, di cui Bruno era appassionato sostenitore. Io gli dissi che non volevo definirmi sionista, perché oggi come oggi essere sionista, secondo me, significa fare l’aliyà e vivere più o meno stabilmente in Israele. Bruno mi rispose, molto ebraicamente, con una domanda: “chi è un sionista?”. Ma aggiunse anche l’ironica battuta di Woody Allen (da lui non condivisa, diversamente da me): “un sionista è un ebreo che dona denaro ad un altro ebreo perché un terzo ebreo vada a vivere in Israele”, e ci facemmo una bella risata.

Il suo grande lavoro storico sull’ebraismo progressivo si è concretizzato nella pubblicazione del libro “Il movimento di Riforma nel contesto dell’Ebraismo contemporaneo – La presenza in Italia”, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze 2018, prezioso riferimento per chi sia interessato a conoscere come è nato il movimento ebraico progressivo nel mondo ed in Italia, ove ha avuto importanti precedenti soprattutto in pensatori e rabbini italiani dell’Ottocento.

L’8 gennaio abbiamo accompagnato Bruno nel suo ultimo viaggio al suggestivo cimitero di Pisa, dove ha voluto essere sepolto: c’è stata una forte partecipazione di tutta la comunità di Pisa che si è unita affettuosamente alla famiglia.

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