di Giorgio Gomel

I moventi della vittoria dell’alleanza di destra sono molteplici. Interessi di ceti sociali diversi si sono coagulati in un manifesto di grande forza seduttiva, dominato dall’immagine di donna madre e patriottica della Meloni e sorretto dalla subcultura che Berlusconi e sodali diffondono da anni nel paese. Meno stato regolatore dell’economia, meno tasse, meno egualitarismo, esaltazione dell’egoismo di individui e corporazioni. A ciò si uniscono le difficoltà dei partiti di sinistra: un linguaggio intriso di realismo e ragione, un sistema di valori ispirato ad un’idea di stato efficiente ed equo, di società solidale e tollerante, che appaiono non attrarre più molto i cittadini-elettori.
Il formarsi di un governo di destra con una componente neo o post-fascista egemone prospetta un futuro denso di incognite. In particolare, la minaccia di una revisione della Costituzione, che non è solo il patto fondante della repubblica ma anche la sanzione della sconfitta del fascismo, del ripudio di un regime razzista e totalitario, è fatto carico di valore simbolico negativo. Di più vi è il pericolo concreto che si diffonda, perché legittimato e non contrastato energicamente da un governo di destra, un clima di ostilità verso gli stranieri, i diversi, i meno protetti.
Per noi ebrei ancora più importante sarà l’impegno nel concorrere a difendere una coscienza civile nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle associazioni, dato il nostro interesse oggettivo a preservare forme di convivenza civile e democratica che tutelino i diritti delle minoranze e rispettino le identità di diverse comunità e culture.
Ma anche affrontare con fermezza, e senza le furberie opportunistiche che già affiorano, i rapporti con un governo che sarà spinto dalle proprie radici ideologiche a mettere in forse alcune acquisizioni sul piano dei diritti civili, nella scuola pubblica, nelle relazioni fra la religione cattolica, lo stato e le altre confessioni. D’altra parte, da anni ormai in Italia come altrove in Europa e negli Stati Uniti opinion leaders ebrei hanno cercato alleati e protettori nella destra politica o nei cristiani integralisti in nome della difesa acritica di Israele e della comune avversione all’Islam.
La stessa Meloni in un’intervista pubblicata poco prima delle elezioni su Israel Hayom – il quotidiano diffuso gratuitamente in Israele e appassionato apologeta del Likud di Netanyahu – ha ricordato come il suo partito sia “in favore della famiglia e dell’identità culturale occidentale con la Polonia e l’Ungheria, i tories britannici, i repubblicani americani e il Likud israeliano”; al contrario della sinistra sia “in favore del diritto all’esistenza e sicurezza di Israele, unica democrazia e luce di stabilità nel Medio Oriente”; “Israele è nostra alleata per una strategia europea contro l’antisemitismo e il terrorismo mussulmani”.
Cercare appoggi nella destra, strumentalmente filoisraeliana, ma con un fondo antisemita, è un’illusione ed un errore; penso che sia più degno e anche più efficace sul piano politico combattere al fianco di altre minoranze il razzismo e la discriminazione verso altri soggetti deboli ed emarginati richiamandosi ai valori universalistici dell’ebraismo: la giustizia, la dignità dello straniero, la difesa dei più deboli.
E ciò non solo perché siamo noi ebrei primi testimoni e portatori della memoria della discriminazione, ma perché vi è un nostro interesse oggettivo nel lottare contro ogni forma di esclusione, anche quando queste non colpiscono direttamente gli ebrei, e nel vivere in società plurali e aperte in cui le differenti identità, soprattutto quelle di minoranza, siano riconosciute e rispettate.

 


Photo credits: “Fratelli d’Italia” by _Pek_ is licensed under CC BY-SA 2.0.

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