di Emilia Perroni

 

L’argomento della maternità è vicino a tutti noi, anche a coloro che non sono genitori biologici, perché tutti noi – sia uomini che donne – siamo usciti dall’utero materno. Quindi la maternità è un’esperienza universale e allo stesso tempo intima.

Nella cultura occidentale la donna ha molte occasioni per integrare la propria maternità con le proprie esigenze personali e le pressioni dell’ambiente in cui vive. Da ciò risulta che nella psicologia della maternità esistono enormi variazioni, tante quante sono le madri.

Modi diversi di vivere la maternità in tempo di guerra

Già nel 1945 Helene Deutsch ha fatto una distinzione fra maternità (motherhood) e atteggiamento o senso materno (motherliness): il concetto di maternità descrive la condizione di essere madre, il rapporto fra madre e figlio/figlia dal punto di vista biologico, sociologico ed emotivo, e comprende lati positivi e lati negativi, mentre l’atteggiamento o senso materno è solo positivo e si riferisce a un orientamento empatico verso gli altri e verso se stessi, indipendentemente dalla maternità biologica.
Per senso materno si intende empatia, la capacità e disponibilità di identificare i bisogni degli altri e tentare di soddisfarli, il rispetto per le debolezze e per l’alterità degli altri. Il senso materno può naturalmente esistere anche negli uomini e nelle donne che non hanno partorito (le suore, per esempio, si chiamano Madri o Sorelle in virtù del loro atteggiamento materno) e può esprimersi nei rapporti fra l’uomo e coloro che non sono suoi figli. Viceversa, esistono donne prive – o quasi – di senso materno.

Il senso materno di una società

In Israele l’argomento della maternità è un asse centrale nel discorso pubblico fin dall’inizio dello Stato. È come se la società israeliana si esprimesse attraverso la voce che dà alle madri, alla maternità e al senso materno.
Anche oggi sono numerosissimi i libri, gli articoli e le mostre che hanno trattato e trattano tale argomento. Ad esempio, l’attuale mostra di composizioni video M(other)land, create da Ruth Patir presso il Museo di Tel Aviv, mostra lo scontro fra il desiderio archetipico di maternità e gli ostacoli interni ed esterni con cui si confronta.
Il passo biblico “Partorirai con dolore” (Bereshit) esprime il riconoscimento arcaico che la maternità è inscindibile dalla sofferenza.
Lo Stato d’Israele è stato progettato ed è nato come unione fra la madre terra e l’eredità dei padri: ossia, la creazione della “patria” ha permesso il rinnovamento della lingua ebraica nella Terra dei Padri e la nascita di una nuova società.
Il bisogno di costruire una nuova vita nella terra vecchia-nuova ha dato un potere enorme alle madri: David Ben Gurion, Primo Ministro dello Stato d’Israele, ha detto nella cerimonia finale del corso delle ufficialesse dell’esercito israeliano nel 1951:
“Il sentimento di maternità è insito nella donna molto prima che essa diventi madre e l’esercito ha bisogno di tale sentimento forse molto più di ogni altro corpo o istituto pubblico.”
Tuttavia, l’ideologia sionista ha esercitato una pressione enorme sulle donne, quando ha preteso da ognuna di esse di avere quanti più figli possibile – i futuri soldati – ricostituendo così, anche numericamente, il popolo ebraico dopo le enormi perdite dell’Olocausto. Così ogni donna è diventata una specie di “utero nazionale”, il quale ha ricevuto la validità ideologica di un comandamento sia religioso che laico: “Prolificate e moltiplicatevi.”

La Guerra del Kippur è stata un trauma profondo e un duro colpo per la società israeliana dopo l’euforia della Guerra dei Sei Giorni. Non voglio qui semplificare processi molto complessi, e non è questa la sede per analizzarli, ma ho l’impressione che Golda Meir abbia suscitato molte speranze nel suo “senso materno” e abbia anche deluso molti, non solo come capo di Stato, ma anche come donna. Il fallocentrismo di una donna-leader – e le sue terribili conseguenze – ha causato molti danni. Ma forse – e lo dico con estrema prudenza – ha anche ammorbidito l’intransigenza militaristica e rinforzato il bisogno di “senso materno” nella società.
A me pare anche che nella società israeliana sia avvenuto da allora un processo di polarizzazione fra la posizione materna e la posizione fallica che ha portato ad un rinforzo dei partiti di destra e aumento delle colonie. Fino all’alba del 7 ottobre 2023.

È interessante notare che, negli anni che hanno preceduto il 7 ottobre, nell’arte e nella poesia si era verificato un passaggio graduale dalla percezione della figura della madre come “utero nazionale” alla madre reale e non idealizzata. Soprattutto nel discorso pubblico, le madri hanno iniziato a porsi delle domande sull’opportunità di incoraggiare o meno i figli a prendere parte attiva nelle azioni militari, esprimendo sempre più apertamente le proprie opinioni sulle decisioni dell’esercito, fino ad allora campo esclusivamente maschile:
Qual è il posto della madre quando c’è una guerra in atto? Il sacrificare la vita è più importante che dare la vita? Dov’è il confine fra la protezione materna e l’iperprotezione? Le madri dei soldati hanno voce in capitolo? Come si sente la madre quando il proprio figlio combatte?

Tali sviluppi hanno poi contribuito, fra l’altro, alla formazione del movimento delle “Quattro Madri”, che ha influenzato in maniera decisiva il ritiro di Israele dal Libano nel 2000.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e la guerra tuttora in corso hanno portato a uno sconvolgimento drammatico in entrambe le parti: in Israele, i morti, i feriti, gli sfollati, gli ostaggi — alcuni dei quali sono ancora orrendamente torturati nei tunnel di Hamas — affliggono la maggior parte della popolazione; a Gaza, il numero dei morti, dei feriti, dei traumatizzati, dei bambini mutilati, affamati e intirizziti dal freddo inorridisce e può suscitare rabbia, senso di colpa, paura, desiderio di vendetta, voglia di lasciare Israele.

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In Israele — mi riferisco alla parte ebraica della popolazione, circa l’80% — dal 7 ottobre e con la guerra tuttora in corso assistiamo a una vera esplosione della presenza materna ovunque: madri e numerose organizzazioni di madri lottano e manifestano nelle strade per la liberazione degli ostaggi, contro la guerra. Vediamo testimonianze di madri che curano i figli feriti e traumatizzati, madri che provano a ricostruire famiglie e case distrutte, madri che vedono i propri figli tornare dalla guerra devastati e trasformati, madri disposte ad abbandonare ogni cosa pur di salvare i propri figli, madri arrabbiate, deluse, madri che non cedono. Madri molto diverse dalle Yiddishe Mame rappresentate dalle caricature come madri assillanti e soffocanti. No. Queste sono madri che vogliono solo i propri figli vivi, e che vivano come vogliono loro.
Oggi vediamo quotidianamente nei social media e nelle strade madri ovunque: organizzazioni come “Le madri contro la violenza”, “101 madri in bianco”, il “Circolo di Hamutal”, “MachsomWatch”, “Donne per la pace”, il “Circolo delle famiglie che hanno perso i propri cari” — al quale partecipano anche i padri — e altre. Dal 7 ottobre 2023 la presenza delle madri è molto significativa e riempie i cuori di ammirazione e di speranza.
Esistono diversi tipi di madri. Nelle zone di guerra o di conflitto, maternità e senso materno diventano più intensi e, così come in ogni maternità sono insiti lati oscuri e pericoli di vario genere, la guerra può acuire tali lati. Uno dei pericoli può essere l’identificazione — conscia o inconscia — di molte madri con la guerra. Tale meccanismo è descritto dalla psicoanalisi come “identificazione con l’aggressore”. Sono consapevole che tale percezione possa sembrare riduttiva e che senz’altro molti non saranno d’accordo. Eppure, ci sono madri identificate con la guerra, convinte che le trattative di pace mettano in ulteriore pericolo i loro figli. Altre sono favorevoli alla conquista di Gaza, altre ancora disposte a sacrificare i loro figli per ciò che credono dia sicurezza a Israele e sono fiere dei loro figli combattenti. Altre accettano la morte dei loro figli come disegno divino.

Lo scrittore A. B. Yehoshua ha scritto che il racconto biblico del sacrificio di Isacco (Akedat Itzchak) incombe come un uccello nero sulla storia del popolo ebraico e della cultura ebraica, e si è schierato contro la legittimazione divina del fatto che un padre debba sacrificare il figlio per un comando religioso, anche se alla fine il sacrificio non è avvenuto, mettendoci in guardia dalle conseguenze catastrofiche di tale legittimazione. Molti commentatori vedono nel sacrificio di Isacco — molto ricorrente nelle preghiere — un rapporto tra padre e figlio, altri tra Dio e Abramo, in cui la madre, Sarah, non viene menzionata. Tuttavia, la Parashà che segue (Hayyé Sarah) inizia con l’annuncio della morte di Sarah. Alcuni commentatori hanno visto un legame tra il silenzio di Sarah nell’Akedà e la sua morte. Il mito dell’Akedà ha ispirato molti artisti israeliani — e non solo — ognuno dei quali ne ha dato una diversa raffigurazione. Vari sono i Midrashim e le interpretazioni della posizione di Sarah nell’Akedà, e alcuni l’hanno vista come la vittima principale: è morta di dolore? O si è sentita in colpa per non essersi opposta al sacrificio del figlio?

Tuttavia, in Israele il sacrificio dei figli è ancora un valore per molti.
Nella guerra, oltre ai sacrifici umani, c’è anche il pericolo della perdita della propria vita psichica e della propria umanità. A questo proposito citerò due opere letterarie che trattano della perdita dell’umanità — o del senso materno — in tempo di guerra: Madre Coraggio di Bertolt Brecht e Il grande quaderno di Ágota Kristóf.
Nell’opera di Brecht, Anna Fierling, soprannominata Madre Coraggio “perché in guerra, chi si alza la mattina è una persona coraggiosa”, è una commerciante ambulante che si tira dietro un carretto di cibo e roba vecchia, vagando di campo in campo alla ricerca di piccoli affari. L’accompagnano i suoi due figli, Eilif e Schweizerkas, e la figlia muta Kathrin. Madre Coraggio vede il potenziale commerciale della guerra e si assuefa ad essa come a una droga. Crede nella guerra fino in fondo e percepisce lo stato di pace come un pericolo per il suo guadagno. Madre Coraggio si preoccupa molto poco dei suoi figli. Qua e là ha degli sprazzi di senso materno, e solo una volta maledice la guerra, ma, per tutto il corso dell’opera, esalta la guerra e i suoi vantaggi.
Madre Coraggio mostra come, a volte, la guerra possa dominare il mondo psichico delle madri fino alla perdita dei valori umani o del proprio senso materno. Tale opera è diventata simbolo della sopravvivenza materna in tempo di guerra, e la sopravvivenza materna — non eroica — ci fa toccare con mano la tragedia della guerra. Anna Fierling deve uccidere il suo senso materno per sopravvivere e diventa un mostro della sopravvivenza. Brecht ci fa vedere che chi vuole sopravvivere, soprattutto se donna, è costretto ad abbandonare i valori e il lato umano, femminile, come espressione di sentimento e di debolezza. “L’amore è una punizione divina”, dice Madre Coraggio a sua figlia. E ancora: “La corruzione è tutta la nostra speranza. Finché esiste la misericordia, persino un innocente può non essere incolpato”.

A proposito dell’indifferenza che la guerra può causare, ricorderò Il grande quaderno di Ágota Kristóf, scrittrice ungherese (1935–2011). Il romanzo racconta di due fratelli gemelli alle soglie dell’adolescenza che, abbandonati dalla loro madre alla nonna crudele (la quale simboleggia la Seconda Guerra Mondiale), inventano modi diversi di autolesionismo per dominare il dolore e non esserne dominati. Si autoflagellano, si torturano, si provocano freddo e fame per anestetizzare la sofferenza che gli orrori della guerra infliggono, così da proteggere il loro mondo interiore.
Le strategie che molti usano per non sentire gli orrori della guerra possono essere utilizzate non solo da singoli individui, ma anche da parti diverse della popolazione e del governo. L’ottusità e il desiderio di non vedere non solo ciò che l’altra parte ci provoca, ma anche ciò che noi provochiamo all’altra parte, oltre a essere immorali, mettono in pericolo tutti noi.
Il senso materno di una società – e dei governanti che elegge – consiste nel proteggere i propri cittadini, cercare vie alternative alla guerra per risolvere i conflitti, tenere presenti i diritti di tutti, abbandonare qualsiasi idea di superiorità e rispettare tutti gli esseri umani, di ogni appartenenza. In altre parole, il senso materno di una società e dei suoi governanti è il rispetto dei valori democratici.

La società israeliana è attualmente dilaniata da un conflitto persistente e sempre più violento fra forze materne e forze fallocentriche.
Admiel Kosman, professore di filosofia ebraica e poeta, scrive nel suo articolo Sulla lingua maschile e sulle labbra femminili che, senza caratteristiche femminili, la mascolinità viene ingoiata da un mondo demoniaco. Purtroppo stiamo tutti correndo il pericolo di essere ingoiati da tale mondo demoniaco.

Dedico questo mio scritto a tutte le madri e le donne che in questo periodo stanno lottando per la fine della guerra, la liberazione di tutti gli ostaggi e l’inizio di trattative politiche per un futuro più umano per tutte le parti.

Israele, 20/04/2025

 

 

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