di Emilio Jona

No, non riesco proprio a scrivere questo articolo, ci giro intorno da quel 7 ottobre, ma l’orrore e poi l’angoscia e la disperazione mi hanno invaso e reso muto per quell’eccesso disordinato di immagini atroci, di notizie e ricostruzioni vere e false, di emotività crescente e incontrollabile e la complessità delle ragioni che sottendono quell’evento. Ho annotato sul  mio diario gli accadimenti e i pensieri, ritagliato pagine di giornale, raggruppato file di articoli e interviste, parlato con parenti e amici tentando di dare ai fatti un ordine, una personale comprensione e una risposta tra la reattività della vendetta e una difficilissima equilibrata reazione a questa eclissi della ragione, ma tutto mi appariva insufficiente, incapace a rappresentare, a documentare quella che mi appare, dopo la Shoah come la vicenda più sconvolgente dell’intera storia d’Israele e della sua diaspora.

Quel 7 ottobre stavo riordinando gli appunti per scrivere una recensione a un libro che mi aveva incuriosito e interessato. S’intitolava Elogio dell’ebraismo-le radici di un’identità e il dialogo con il futuro di Raffaele Mantegazza, (Fefé editore 2023). Mantegazza è un docente di pedagogia che si occupa di formazione d’insegnanti ed educatori, che ha sviluppato un progetto denominato “pedagogia della resistenza”, che, egli dice, è fortemente debitrice della forza resistenziale dell’ebraismo per la sua insolita miscela di religione, ritualità, fede, speranza, con una straordinaria forza di opposizione all’annientamento. Il suo percorso si articolava sulle radici, cioè sui cardini dell’identità ebraica attraverso la Torah e sulle sue ali, cioè sul commento talmudico, e consideravo opportuna una meditazione critica su questa immagine così appassionatamente positiva, così partecipe sul pensiero ebraico e sulla sua storia, in un tempo in cui molti di noi erano fortemente critici e in grave apprensione per le sorti d’Israele e per la deriva razzista e fondamentalista di una sua parte non irrilevante. Mantegazza mi rallegrava certo e insieme mi impensieriva. mi appariva come un “gentile” appassionato dell’ebraismo e del suo intreccio di religione-popolo- cultura che coglievo come un innamoramento con i suoi tratti di passione e con esso di cecità, tanto da immedesimarsi e coltivare una profonda nostalgia e un desiderio di divenirne parte, condividendone idee, gioie e passioni. Mantegazza, che conosce l’ebraico ed è un ottimo lettore delle scritture, era affascinato dalla Genesi che racconta la creazione dell’uomo, non dell’ebreo e  del suo essere poi un popolo della contraddizione e del conflitto e di una religione dell’attesa, della rivelazione, del patto, col  rattrappirsi di Dio, con la sua scelta di farsi da parte per dare spazio all’uomo a cui delegava le nominazioni delle cose del mondo, mentre lui si  declinava al futuro (eyeh ascher eyeh, io sarò quel che sarò) non nell’iperuranio ma nella concretezza della quotidianità.

Avevo cominciato a scriverne quando il 7 ottobre mi ha invaso e reso muto. Oggi su questo foglio bianco, 20 giorni dopo, mi riesce solo di lasciare una traccia dei concitati monologhi, più che dialoghi, telefonici con qualcuno dei 12 appartenenti alla mia famiglia che vivono a Tel Aviv, mio fratello, mia cognata, i due figli con le mogli e le loro proli, sei ragazzi di cui tre sotto le armi. Essi appartengono a quell’Israele che da 10 mesi, ostinatamente e in modo imponente, manifesta ogni sabato contro le decisioni antidemocratiche e razziste del governo in carica. Oggi essi pensano che si debba reagire con la forza, distruggendo militarmente Hamas, per poi fare i conti con Netanyahu, la sua banda e chi ha reso possibile questa carneficina per errate scelte politiche, omissione colpevole di conoscenze e prevenzioni da parte di strutture di intelligence e militari, fino a ieri considerate le migliori nel mondo. A questa scelta e all’azione di guerra per aria e per terra, ormai già in atto, io cercavo, appassionatamente e vanamente, di opporre ragioni, o meglio ragionevolezze, di più lungo corso. non legate ad una comprensibile, ma insufficiente e discutibile legge del taglione.

Certo Hamas, dicevo loro, è una organizzazione terroristica, il suo statuto (1988, art.7 e 11, rintracciabile facilmente su Internet e attenuato poi, solo a parole e non nei fatti, nel 2017) propone l’uccisione di ogni ebreo e la distruzione di Israele, voi dite che la eliminerete con una guerra, ma voi fate tre figli e loro nove, la troverete quindi triplicata nell’odio in un prossimo futuro, e, perduta Gaza, avrà centri e militanti in Palestina, in tanti stati arabi e armi e denaro a volontà. Oggi per intanto vive con ogni conforto nei 400 km di cunicoli di Gaza, mentre in superficie una popolazione sovraffollata soffre una dittatura teocratica e l’indigenza, sotto le bombe d’Israele, incapaci di separare gli obbiettivi militari dalle case dei civili, tanto sono l’un l’altro intricati.

Per  altro verso, Israele vive i giorni più drammatici della sua storia, dopo il 1948: le sue città e i suoi campi sono  colpiti dal cielo e dalla terra, le sue zone di confine  hanno dovuto essere evacuate, mentre deve fare i conti da una parte con i militanti sunniti di Hamas pronti a uccidere  indiscriminatamente e a morire per un ideale feroce,  e dall’altra  al confine a nord  con gli  Hezbollah sciiti che hanno gli stessi obbiettivi  e la stessa ideologia, poi  dentro a Israele, pronti ad esplodere ci sono due milioni di palestinesi, infelici e infidi cittadini di seconda classe e tre milioni di abitanti nella Samaria e nella Giudea che vi odiano, vessati come sono dall’occupazione militare, cacciati dalle loro terre, aggrediti e uccisi dai coloni e dagli haredim fanatici; e infine, come sfondo  ancora più cupo, il paese è  a rischio di una guerra civile tra due contrapposte e insanabili visioni politiche e religiose, una destra estrema religiosa e razzista al potere e un centro e una sinistra democratici deboli e divisi, mentre nel mondo cresce la lebbra dell’antisemitismo.

Ora, in una disumana conta dei morti, sono già dimenticate le atroci, deliberate mattanze di  donne vecchi, bambini, gli stupri, le torture, le catture di ostaggi del 7 ottobre a fronte dei quotidiani bombardamenti israeliani volti a distruggere Hamas, che producono anche  migliaia di morti e feriti nella popolazione palestinese. Questa sola disumanità ormai è quella che ha dominato i  mezzi d’informazione di mezzo mondo, mentre le piazze da Islamabad a Istambul e ad Algeri sono state invase da centinaia di migliaia di manifestanti, inferociti contro Israele sulla base della  notizia falsa, ormai codificata come vera, di una bomba israeliana che avrebbe  colpito un ospedale di Gaza con centinaia di morti.

A me e a tanti sembra che Hamas abbia teso una trappola infernale in cui Israele è caduta. Hamas ha premeditato e previsto esattamente ciò che Israele va facendo, essa voleva le migliaia di morti palestinesi innocenti, e che essi fossero, inevitabilmente, due, tre  volte tanto di quelle israeliane, voleva che Israele colpisse gli ospedali, le moschee, le scuole che sovrastano la sua immensa rete di cunicoli pieni di armi e di esplosivi, perché tutto il mondo s’indignasse e plaudisse alle  sue ragioni, voleva apparire ed essere  l’unico credibile rappresentante dei diritti dei palestinesi ad avere uno stato sovrano nelle proprie terre, uccidendo e cacciando ogni ebreo. È stato scritto che nel pogrom del 7 ottobre ci sono scintille della Shoah: quello che è certo, e che traspare nello statuto di Hamas, è la presenza ideologica del testo oggi  più diffuso e apprezzato nel mondo arabo, che s’intitola “I protocolli dei savi di Sion” e che è un falso, certo e dimostrato, della propaganda antisemita del primo novecento, già livre de chevet di quella nazista.

Dico ai miei famigliari che alle indubbie responsabilità dei palestinesi nel sabotare, anche con una guerriglia terroristica ogni prospettiva di pace si sono fronteggiate quelle speculari d’Israele, particolarmente sotto tutti i governi di Netanyahu.  Sono gli anni in cui si sono ignorati gli impegni di Oslo,  si sono continuati a far soffrire gli israeliani palestinesi di  sensibili disuguaglianze socioeconomiche sotto l’apparente godimento di tutti i diritti civili e politici, si sono mantenute le zone A e B della Cisgiordania con una sovranità palestinese limitata  e la zona C, che è la sua parte maggiore, sotto occupazione militare, e si sono estesi a dismisura, nella violenza, gli insediamenti  di coloni fanatici  fondamentalisti e razzisti (sono ormai oltre 700.000)  con confische di terreni, demolizioni di case e negli ultimi tempi anche con reiterate uccisioni, da parte dei coloni, di civili palestinesi  e incendi delle loro case, fatti che non saprei definire altrimenti che come piccoli pogrom. Così i  passati governi, con una politica dissennata e fallimentare, in un insensato sogno millenaristico si sono mossi  per incorporare di fatto la Samaria e Giudea in uno stato etnicamente ebraico, affossando ogni ipotesi di  due stati democratici e sovrani, pensando che si potesse bypassare il problema palestinese semplicemente accantonandolo o ignorandolo, a fronte dei cosiddetti patti di Abramo, che sono accordi di convivenza, per prevalenti ragioni economiche, con stati arabi teocratici e illiberali. Che tutto ciò sia stato un colossale errore e che abbia contribuito a creare la situazione presente è di tutta evidenza.

A ciò si deve aggiungere un dato che dovrebbe far riflettere, e cioè che i due fondamentalismi religiosi che si fronteggiano non rappresenterebbero la realtà e i desideri della maggioranza dei due popoli, se sono attendibili i sondaggi di questi giorni che dicono che la popolarità di Netanyahu è al 19%. e che Hamas sarebbe votata (le ultime elezioni risalgono al 2006) dal 29% degli abitanti di Gaza.

E intanto nel mondo non si prospetta alcuna soluzione che risolva il conflitto alla sua radice, ma si manifesta nelle piazze e si chiede solo che Israele cessi il suo attacco a Gaza, che accetti una tregua umanitaria, lasciando Hamas con i suoi apparati di guerra intatti, pronto a progettare e realizzare altri stermini, come se fosse lui, l’aggredito, il solo vero responsabile delle morti di tanti civili innocenti. Ma tuttavia le aporie non finiscono qui perché è anche evidente che se Israele proseguirà nella sua guerra e riuscirà a distruggere Hamas a Gaza, essa risorgerà altrove, più numerosa e aggressiva di prima, tra le centinaia di milioni di musulmani esistenti in Medio Oriente e nel mondo, con il risultato devastante di una spirale di altre ancor peggiori vendette e di un universale antisemitismo sino al rischio della fine d’Israele e della sua diaspora. Certo resta il dato che Israele nel combattere il suo nemico, ha fatto, non intenzionalmente, migliaia di morti innocenti, che erano scudi umani per volontà di Hamas e  per la  struttura e la sovrappopolazione di Gaza, mentre Hamas  ha ucciso deliberatamente  in antichi  kibbutzim di frontiera di nobile tradizione liberale e socialista, intere famiglie nel giorno del riposo e della gioia, ha violentato e rapito centinaia di civili, ha massacrato  centinaia di giovani in festa, pacifisti e non pacifisti, stranieri e israeliani di ogni etnia, ma tuttavia in tutti paesi musulmani e nelle più affollate manifestazioni  pubbliche nel mondo è  Israele e non Hamas, ad essere  indicato  come il primo e unico responsabile di quei morti palestinesi, mentre la realtà è che  Hamas li ha previsti e programmati, e la riprova sta persino nelle dichiarazioni rese dal capo di Hamas, Ismail  Haniyeh, il 26 ottobre, sulla TV araba Mayadden: ”L’ho detto prima e lo ripeto: il sangue di donne, bambini e anziani… Non vi sto dicendo che questo sangue ha bisogno di voi: dico che siamo noi gli unici ad avere bisogno di questo sangue, in modo da risvegliare in noi lo spirito rivoluzionario, la risolutezza, la sfida: E spingerci ad andare avanti.”

Ora  Israele,  proprio ora,  nei giorni più drammatici della sua storia, dovrebbe avere il coraggio e l’astuzia dell’utopia di uscire da questo meccanismo infernale e mortifero, di rompere ogni paradigma che  ha ispirato la sua condotta in questi anni, miope o volutamente cieca sulla questione palestinese e liberarsi da sola, apparentemente in un’insensata solitudine, dalla trappola di Hamas, dall’ottica dell’amico/nemico, dell’occhio per occhio, che è  stata per tutti una scelta schizoparanoide, perdente e portatrice solo di lutti, e osare una condotta depressiva,  chiamando a raccolta e utilizzando tutta la sua intelligenza, tutto l’immenso patrimonio della sua cultura, della sua storia millenaria e l’immensa forza delle sue depressioni e delle sue disgrazie, facendo  e proponendo qualcosa di umano, d’inaspettato, di solenne, clamoroso, inimmaginabile, utopicamente  messianico, che spiazzi e sconfigga o divida qui e ora Hamas con la forza di un gesto paradossale, in apparenza fuori tempo e fuori luogo, come quello di  far scendere su Gaza, anziché bombe, migliaia di grandi  paracaduti, vistosamente colorati, perché nessuno li possa ignorare, con appese casse di  cibo, acqua , medicinali, e poi di dichiarare di essere pronta a curare nei suoi ospedali i feriti palestinesi, a salvare la vita dei semplici militanti di Hamas che rinuncino alla guerra,  punendo per i loro crimini solo i suoi capi, rilanciando il progetto di due stati e  avanzando  una saggia proposta di pacificazione tra  tutti i palestinesi e gli  israeliani di buona volontà, definitivamente stanchi di conflitti e di guerre. Coglievo, mentre lanciavo appassionatamente questa proposta a mio fratello e a un nipote, che mi è particolarmente caro e che ha un importante incarico pubblico, tutta la sua irrealtà e impraticabilità e insieme tutta la sua radicale spiazzante realistica ragionevolezza. Essi mi risposero col silenzio e l’infelicità. Ma, come dice un antico pensiero ebraico, forse è proprio quando la catastrofe è vicina che potrebbe apparire il messia.

3 Novembre 2023

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