di Manfredo Montagnana

Nelle settimane di ferragosto mi è capitato di leggere quasi contemporaneamente due libri che mi hanno colpito: la biografia di Berlusconi tracciata da Marco Travaglio (edito recentemente) ed il romanzo di Roberto Saviano su Giovanni Falcone (uscito già un anno addietro). Il primo racconto si chiude con la morte del “santo” Berlusconi il 12 giugno di quest’anno circa trent’anni dopo la morte del “martire” Falcone il 23 maggio del 1992.

Cercherò di spiegare perché  considero questi lavori  importanti ed in qualche modo complementari, senza annoiare troppo i lettori nel ripercorrere passo a passo le storie. In primo luogo confermo che di lavori si tratta, cioè di vere e proprie ricerche storiche abbondantemente corredate da citazioni e documenti. Vi sono soprattutto due aspetti che mi hanno colpito profondamente: il primo è che ai molti interrogativi lasciati dai protagonisti dei due libri non è giunta alcuna risposta né dai politici e industriali legati a Berlusconi e nemmeno dagli amici e alleati di Andreotti e Craxi. E purtroppo nessun commento è giunto nemmeno dai leader dei partiti che solo in Parlamento stavano all’opposizione ma che in pratica permettevano che avvenisse tutto quello che qui viene descritto.

L’aspetto che ha prodotto in me le tracce più profonde è la scia di sangue e di realtà inaccettabili lasciata dalla mafia e dai suoi alleati. È la grande tristezza che nasce alla lettura dell’elenco delle infinite attività illecite di Berlusconi e dal ben più gravoso elenco dei morti di mafia: giudici, poliziotti, intellettuali e tanti, troppi familiari e cittadini qualsiasi. Per fortuna in molte realtà siciliane, in particolare a Palermo, si è da tempo creato un movimento di resistenza alla mafia soprattutto da parte dei giovani.

Dobbiamo, credo, accettare il fatto che altrettanto non è avvenuto nel resto del paese, in primo luogo a Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze. I lavori di Saviano e Travaglio dimostrano oltre ogni dubbio che la mafia è ormai una organizzazione dalle caratteristiche aziendali, le cui radici più salde sono nelle aree industriali del nord Italia, oltre che nelle stanze del potere, centrali e locali. A questo non si è contrapposta una mobilitazione popolare contro la presenza sempre più capillare della mafia nel commercio, nell’industria, nelle amministrazioni locali.

Sembrerebbe che la maggioranza dei nostri concittadini abbia deciso di chiudere gli occhi, fin dai tempi in cui Travaglio mostrava come Berlusconi fosse legato alle cosche siciliane. Non sono stati scossi nemmeno quando sono stati man mano trucidati: Peppino Impastato (giovane attivista), Carmine Pecorelli (giornalista), Boris Giuliano (capo della squadra mobile di Palermo), Cesare Terranova (magistrato), Piersanti Mattarella (Presidente della Regione Sicilia), Pio La Torre (segretario del PCI siciliano), Giovanni Gambino (imprenditore), Carlo Alberto dalla Chiesa (generale dei carabinieri), Rocco Chinnici (magistrato), Ninni Cassarà squadra mobile), Libero Grassi (imprenditore) fino a Giovanni Falcone (magistrato), Paolo Borsellino (magistrato), Pino Puglisi (sacerdote), Domenico Geraci (sindacalista). Ho voluto ricordare questi nomi, solo pochi fra le centinaia di uccisi dalla mafia dal 1940 ad oggi, alcuni singolarmente ma tanti in vere e proprie stragi.

Dicevano Falcone e Borsellino che quella dei magistrati di Palermo era una staffetta: man mano che cadeva uno di loro sotto i colpi di Cosa nostra ne subentrava un altro. La battaglia è sempre continuata ma la mafia non è ancora stata vinta, anzi si è trasformata, è penetrata nei centri vitali della nostra società . Resta dunque nei cittadini più sensibili un senso di impotenza e di frustrazione alla quale è doveroso reagire se non altro nel ricordo di tutti quei morti, superando l’intrico tra il potere criminale ed il sistema economico-sociale in cui viviamo.


Roberto Saviano – Solo è il coraggio. Giovanni Falcone – Ed. Bompiani, 2022 (p. 512 € 22,80)

Marco Travaglio – Il santo – Ed. Paper FIRST, 2023 (p.522  €17,00)

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