di Giorgio Berruto

Omaggio a un cittadino del Mediterraneo

Platone, Dante, Hegel, Dostoevskij, Proust ricci. Aristotele, Montaigne, Molière, Goethe, Balzac volpi. Da una parte gli autori di opere centripete, tutte riferite a un’idea centrale o a un principio ispiratore. Dall’altra chi ha pensato e creato perseguendo fini numerosi e diversi, a volte anche contraddittori. Perché, come ricorda il poeta lirico greco Archiloco, “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. È Isaiah Berlin a proporre lo schema ricci/volpi in un saggio su Tolstoj. Ma il modello può essere esportato, per esempio nel cinema. Chaplin, Ozu, Fellini, Bergman, Allen da una parte; Lang, Kurosawa, Visconti, Kubrick, Eastwood dall’altra. O a piacere in tutti gli altri campi dell’umano ingegno. Berlin stesso ne suggerisce la possibile applicazione non solo a scrittori e filosofi ma agli uomini in generale.

Proviamo a utilizzare lo schema per descrivere i grandi della letteratura israeliana. Amos Oz è un riccio indubbiamente. Più ancora: è autore di un solo libro, Una storia di amore e di tenebra, i cui moduli e temi tornano incessantemente in ogni altro romanzo e perfino in saggi e articoli. David Grossman ha invece un profilo discretamente volpino. E Yehoshua? Come per il Tolstoj di Berlin le cose per lo scrittore morto il 14 giugno scorso si fanno complesse, sfumate. Il percorso per arrivare a una risposta possibile obbligherà ad alcune digressioni.

L’italiano

Abraham B. Yehoshua è stato tradotto in inglese, francese e tedesco prima che in italiano. Ma in Italia ha avuto un successo di gran lunga superiore. Non solo. Yehoshua più di ogni altro autore ha aperto nel nostro paese al successo dell’intera letteratura israeliana. Il suo primo romanzo, L’amante, esce nel 1977 in Israele e solo nel 1990 viene tradotto e pubblicato in italiano da Einaudi. Non è in realtà il primo scritto dell’autore a disposizione dei lettori italiani perché tre anni prima Giuntina aveva pubblicato alcuni racconti in un volume intitolato Il poeta continua a tacere, raggiungendo però una circolazione di copie limitata. Lo stesso Amante non diventa subito un best seller. Ma anno dopo anno le vendite crescono progressivamente. Uno alla volta vengono pubblicati gli altri romanzi. Dalla fine degli anni novanta ogni nuovo libro di Yehoshua viene immediatamente tradotto e pubblicato, sempre in elegante veste bianca, il colore dell’editore torinese. Oggi diversi titoli hanno superato (in alcuni casi abbondantemente) le 100.000 copie secondo dati dell’ufficio marketing Einaudi. Ma non è ancora tutto. In Italia Yehoshua è da trent’anni protagonista di recensioni, interviste, convegni, festival e conferenze. Perfino il cinema ha dato un contributo significativo con il film di Roberto Faenza L’amante perduto, tratto nel 1999 dall’Amante.

Il sionista

La figura intellettuale e non solo letteraria di Yehoshua è stata in Italia riconosciuta come forse in nessun altro luogo, con i suoi interventi regolarmente tradotti e pubblicati sulle prime pagine di quotidiani come “La Stampa” e “La Repubblica”. Il lettore italiano ha avuto modo di conoscere il sionismo di Yehoshua, talora disposto a lasciare un ruolo soltanto residuale all’ebraismo fuori da Israele, un sionismo però declinato costantemente nella ricerca di una coesistenza con i vicini arabi in generale e palestinesi in particolare. Negli ultimi anni Yehoshua ha espresso perplessità sull’obiettivo dei due stati – israeliano e arabopalestinese – perché, nelle sue stesse parole, da una parte e dall’altra “nessuno più lo vuole”. Nel contesto attuale, per terminare una occupazione che si prolunga da troppo tempo e che con un doppio diritto di fatto logora la democrazia, secondo lo scrittore non rimane che l’opzione di una federazione in cui israeliani e palestinesi siano cittadini alla pari.

L’amante

Il primo romanzo di Yehoshua è composto da una serie di monologhi pronunciati dai diversi personaggi. Non esiste un narratore onnisciente e non esiste una verità inconcussa. Quello che veniamo a sapere è sempre la visione di uno dei protagonisti, e spesso diversi monologhi affrontano da prospettive alternative i medesimi episodi. Un libro a tante voci dunque, che fa pensare al Faulkner di Mentre morivo. D’altronde Yehoshua descrive una serie di mondi vicini ma diversi che corrispondono alle divisioni interne alla società di oggi. Non è un fenomeno soltanto israeliano, ma Israele è certamente uno dei luoghi dove questa dinamica, che alcuni definiscono di tipo tribale, è oggi più chiaramente osservabile. Nei monologhi ogni personaggio stabilisce una relazione tra pensiero e realtà; soltanto questa relazione non è una fotografia che restituisce la realtà come oggetto ma l’equivalente di un dipinto impressionistico. Se si preferisce, un’interpretazione. Ci si chiede, leggendo L’amante, se esista una realtà al di fuori dei differenti modi con cui i personaggi la rappresentano. Oppure se realtà non sia altro che questa rappresentazione, fuori dalla quale nulla è dato conoscere. Polifonia e rappresentazione si uniscono naturalmente a un terzo tema che sta a cuore allo scrittore, il rapporto con l’altro. L’altro è lo spazio che consentendo la verticalità apre all’etica secondo il filosofo Lévinas. L’altro è Altro, trascendenza. Ma per essere tale deve prima essere un concretissimo altro, possedere cioè un volto e uno sguardo concreti e attuali come quelli del giovane arabo Na’im oppure dell’amante della moglie del titolo di cui Adam si mette alla ricerca.

Lo scrittore

Amante è titolo che va attribuito allo stesso Yehoshua, per il quale la perdita nel 2016 della moglie Ika ha rappresentato un colpo tremendo. A Ika “infinito amore” è dedicato uno degli ultimi libri, Il tunnel, che riflette sul declino della vecchiaia. Il tunnel e l’amante sono due dei tanti simboli che affollano le opere dello scrittore, parole chiave che illuminano attraverso la loro forza allusiva. Per quanto riguarda la scrittura non si può non notare l’influenza profonda di moduli teatrali. Yehoshua ha d’altra parte scritto anche di teatro. L’elemento teatrale emerge chiaramente nella preminenza del dialogo, assoluta nei primi romanzi, che sono anche i più originali e importanti dall’Amante al Signor Mani, temperata ma ancora solida in seguito. Dimensioni ricorrenti sono l’amore, centrale oltre che nei romanzi già citati in Ritorno dall’India, la malattia (Cinque stagioni), la famiglia (La sposa liberataDivorzio tardivo e un po’ ovunque), i rapporti di dipendenza e subordinazione nel contesto lavorativo (Il responsabile delle risorse umane), la relazione complessa tra Israele e Europa (Il signor ManiCinque stagioni), il rapporto con l’altro, che è in primo luogo l’arabo (quasi in ogni romanzo).

Il cittadino del Mediterraneo

Il signor Mani, pubblicato in ebraico nel 1990 e in italiano nel 1994, è probabilmente il romanzo più complesso e ambizioso di Yehoshua. È un affresco in cinque parti, cinque come le generazioni di Mani dagli anni ottanta del Novecento a metà Ottocento. Si procede infatti a ritroso dal recente all’antico, come riavvolgendo un nastro; dal deserto del Negev ad Atene; dalla prima guerra del Libano, quando per la prima volta è Israele ad attaccare (anche se in seguito a ripetute azioni terroristiche organizzate), alla “primavera dei popoli”, quel 1848 in cui nell’arco di poche settimane la rivoluzione divampa in tutta Europa. Le cinque parti sono dialoghi a due di cui però solo una voce è riportata e in cui si intrecciano i temi di identità e utopia. L’istante presente è stretto infatti tra due estensioni indefinite, da una parte il passato e dunque le generazioni venute prima di noi, dall’altra il futuro, terra incognita abitata dalle generazioni che verranno. Attraverso le vite dei Mani protagonisti di un’unica saga famigliare Yehoshua descrive anche la propria famiglia, della quale gli antenati del padre erano emigrati da Salonicco in Terra di Israele all’inizio dell’Ottocento. Sulla copertina della prima edizione israeliana vediamo raffigurati cerchi concentrici, che richiamano gli anelli di una sezione di tronco d’albero, e alcune piccole forbici, come a segnalare da una parte il peso della genealogia, dall’altro la possibilità di spezzare quello che altrimenti potrebbe sembrare un percorso già scritto, necessario, in cui non si dà spazio alla libera scelta degli individui. L’eredità sefardita di Yehoshua emerge in un altro importante romanzo, Viaggio alla fine del Millennio, che descrive un percorso via mare e fiume dal Marocco (luogo di origine della famiglia della madre dello scrittore) a Parigi e poi ancora fino a Worms, nella valle del Reno. Yehoshua mette a confronto due mondi, quello sefardita e mediterraneo da una parte, quello ashkenazita dell’Europa centrale dall’altra. E durante la lettura non è difficile rendersi conto delle preferenze dell’autore. Nei romanzi e a maggior ragione negli interventi d’occasione, Yehoshua considerava se stesso cittadino del Mediterraneo, cioè di quella koinè che unisce insieme le terre e le isole da Tangeri a Jaffa, da Marsiglia ad Atene, da Smirne a Tripoli. Mi sento a casa nei quartieri spagnoli di Napoli e nei vicoli che scendono fino al porto di Palermo, diceva. Ma non era un illuso. Sapeva che le inimicizie, le rivalità, gli odi che dividono gli uomini intorno alle rive di questo nostro mare sono perfino più violenti che altrove. Come quelli tra tante coppie di fratelli e sorelle della tradizione biblica, a cominciare da Caino e Abele.

Riccio o volpe dunque? Difficile dirlo con sicurezza. La famiglia come realtà fondamentale, talvolta scompaginata dai guizzi imprevedibili dell’amore, è al centro della narrativa di Yehoshua e in buona misura dell’intera letteratura israeliana. E il Mediterraneo, le cui acque dividono e uniscono allo stesso tempo, è l’orizzonte di vita. La patria, intesa letteralmente come terra dei padri e delle madri che abbiamo ereditato e in cui siamo non per scelta. Ma Yehoshua suggerisce sempre un’alternativa in grado di rompere la catena delle necessità, il succedersi meccanico delle generazioni. Le piccole forbici accostate agli anelli sulla copertina della prima edizione del Signor Mani non suggeriscono proprio questo? Gli anelli non sono rotti – come potrebbero? – ma le forbici sono lì, pronte all’uso. Le forbici sono la libertà. Apertura all’altro, quindi all’Altro. Eredità e scelta, passato e futuro, necessità e libertà sono i poli tra i quali oscillano i personaggi di un autore innamorato dell’umanità in tutte le sue forme. Forse Yehoshua riteneva di essere un riccio, ma era una volpe.

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