di Bruna Laudi

“Daniele Segre, regista scomodo” era il titolo dell’intervista realizzata da D.T. e pubblicata su Ha Keillah, nell’ottobre del 2022. Una occasione per conoscere la storia di un uomo che, attraverso le sue pellicole, aveva raccontato vite e persone con un occhio di riguardo per coloro che, solitamente, non sono considerati protagonisti vincenti della società. Riporto qui la prima domanda e la sua risposta.

Da bambino hai sofferto l’emarginazione.  Da grande hai fatto film sugli esclusi. C’è una relazione? “Può darsi. In ambito comunitario mai una volta che sia stato invitato a una festa dei miei compagni di scuola, perché non appartenevo alla loro classe sociale. In Comunità si sono accorti che esistevo quando ho cominciato a vincere gare di atletica nella Nazionale giovanile”.

Avevo conosciuto Daniele quasi 50 anni fa, giovane collega alla scuola ebraica di Torino, schivo e fuggente, faceva le sue lezioni di Educazione fisica e non si fermava a chiacchierare oltre il suo orario. Ci accomunava un certo senso di estraneità. Io ero appena arrivata da Genova, dovevo ancora finire gli studi ed ero spaventata dall’ambiente che mi circondava, pronto a giudicarmi e a sottolineare la mia inadeguatezza, lui invece aveva abitato a Torino ma le parole pronunciate nell’intervista dicono molto della sua percezione di sé rispetto agli altri.

Dopo la comune esperienza, finita presto per entrambi, non ci siamo più visti, ma ho potuto conoscerlo meglio attraverso alcuni suoi film e ritrovare nelle sue pellicole la sensibilità di chi ha vissuto e sofferto l’emarginazione e la supera raccontandola.

Nell’estate del 2022 moriva Lisetta Carmi, grande fotografa, di cui avevo visto le opere esposte nei locali della Comunità a Casale Monferrato: volevo scrivere di lei e fui consigliata di interrogare Daniele Segre, suo estimatore e amico. Ritrovai così Daniele, disponibile e generoso: il dialogo con lui fu illuminante. Avevo occasione di avvicinarmi contemporaneamente a due persone eccezionali: l’anziana artista che da poco se ne era andata e il collega della giovinezza, ormai uomo adulto, realizzato attraverso la sua arte e gli affetti da cui era circondato. Poi, come purtroppo capita e pur desiderandolo, non siamo più riusciti a combinare un incontro e la sua morte mi ha lasciato un senso di rimpianto.

Come in un film vorrei raccontare il suo funerale. Quel giorno, una fredda mattina di febbraio, eravamo in tanti a salutarlo, insieme alla sua famiglia: c’erano volti noti della Comunità ebraica e tanti per me sconosciuti del mondo del cinema. Non visibili, però, si aggiravano tra i vialetti del cimitero i borgatari di Ragazzi di stadio o i travestiti di Vite di ballatoio insieme alle donne che hanno lottato per la libertà o ai minatori e ai tanti protagonisti dei suoi film verità e Lisetta Carmi, sorridente. pronta ad accoglierlo per continuare insieme il discorso interrotto.

Fai buon viaggio Daniele.

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