di David Terracini

 

  • I come from Sankt-Peterburg, the old Leningrad.
  • Non per sapere i fatti tuoi, ma come mai – chiedo al giovane autostoppista – da San Pietroburgo sei arrivato fin qui in Val Pellice?
  • Io sono cineasta, mi risponde in inglese con l’accento russo, faccio documentari e mi interessano la natura e la vita dei popoli del mondo.
  • Dove vuoi che ti lasci?
  • Alla Casa col Forno di Pietra, più su, dove c’è un barile giallo, mi puoi lasciare lì. Poi proseguo a piedi.
  • Abiti lì?
  • No, sono di passaggio. Lì c’è una comunità di giovani artisti che vengono da tutto il mondo.
  • Ma quella casa è la Vernarea! – dico a mia moglie – È la cascina dove sono stati nascosti i miei genitori dal ’43 al ’45 con la loro bambina, mia sorella Lia!

Saliamo per una strada dissestata, ripidissima. Nella cascina stanno allestendo la mostra di pittura di un giovane israeliano. Incredibile. La mostra è in parte nella stalla, in parte nel fienile e anche nel bosco. In quella casa, dove mio padre nascondeva nelle crepe di un muro i suoi disegni clandestini di vita partigiana, oggi, ottant’anni dopo, arrivano da tutto il mondo giovani pittori, scultori, fotografi, musicisti che via social hanno saputo della Casa col Forno di Pietra. Racconto la storia dei miei genitori ai due ragazzi che gestiscono questo posto fuori dal mondo. Mi ascoltano stupiti e interessatissimi. Lui russo, lei italiana, entrambi giovani.  Ci invitano a mangiare con loro sul vecchio terrazzo di legno, insieme agli altri dieci ospiti. Si parla soprattutto inglese. Nel fienile ci sono poltrone e divani vissuti, su un teleschermo viene proiettato un film di uno degli ospiti. Fuori, poltroncine e tavolini all’aperto, piccoli salotti in ogni angolo attorno alla cascina.  Tutti gli ospiti fanno qualcosa: cucinare, servire a tavola, fare le pulizie, aiutare nei lavori di muratura e di impianti. Qui all’inizio c’era un solo servizio igienico, mi raccontano, ora ce ne sono otto, fatti tutti da loro. In una scatola di cartone  gli ospiti versano quello che possono. Chi può  paga il soggiorno.   

Sembra una comunità di figli dei fiori, ma i ragazzi che gestiscono la cascina hanno l’aria di studenti impegnati.

Siamo diventati amici e siamo tornati spesso a trovarli. Nel frattempo è nata Yara, col visetto tondo e gli occhi curiosi. Una delle volte abbiamo scoperto  che avevano incorniciato ed appeso lungo la scala della cascina le immagini dei disegni partigiani di mio papà, scaricate da una mia mail.

Ma nella Casa col Forno di Pietra non c’erano solo ragazzi. L’ultima volta che siamo stati da loro abbiamo trovato  profughi ucraini di tutte le età. Russi e ucraini insieme, fuori dalla guerra. Attorno ad un enorme pentolone  di borsch abbiamo conosciuto due coppie di nonni ucraini coi loro due nipoti. Uno dei nonni mi confessa che si sentono un po’ isolati, qui in montagna, fuori dal mondo, e mi chiede come possono trovare un alloggio più vicino a Torino. Contatto la Comunità Ebraica. Nel giro di tre giorni, grazie alla collaborazione della Comunità di Sant’Egidio, troviamo un alloggio gratuito per loro sei, in pieno centro a Torino. Anche qui avevamo trovato un mondo fuori dal mondo.

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