di Annalisa Di Nola e David Calef

 

Non è probabilmente un caso che il cinema e le serie tv abbiano dimostrato negli anni più recenti una viva fascinazione per personaggi e ambienti situati in comunità di ebrei ultra-ortodossi, ottenendo un largo successo di pubblico. Le comunità di chassidim sopravvissute alla Shoah e immigrate negli Stati Uniti, considerate spesso con una certa diffidenza dal resto della popolazione ebraica, quali reliquie di una società e di uno stile di vita antiquati, hanno assunto un peso sempre maggiore nella vita culturale e politica di questo paese.

Mentre la popolazione ebraica mondiale cresce ad un tasso dello 0,7% , la popolazione degli ebrei ultraortodossi esibisce tassi di crescita del 3,5 o 4%. Se attualmente gli ultraortodossi costituiscono il 12% della popolazione degli ebrei americani, l’Institute for Jewish Policy Research stima che fra vent’anni ne costituirà il 20%.

Recentemente, le comunità ultraortodosse newyorchesi sono ascese alla ribalta della cronaca per due motivi: l’elevato numero di contagi e decessi da Covid-19 dovuto almeno in parte alla scarsa osservanza delle regole di distanziamento e dell’uso di mascherine e le pesanti carenze nell’insegnamento di discipline basilari quali inglese e matematica in molte delle loro scuole.

Il relativo isolamento, la storica diffidenza nei confronti dello Stato e della scienza, il livello di istruzione carente e il raro accesso a dispositivi tecnologici o reti telematiche, hanno provocato una disinformazione che spiega almeno in parte la scarsa osservanza delle restrizioni imposte a livello governativo. Inoltre, la combinazione di nuclei familiari numerosi i cui membri spesso coabitano in spazi ridotti, in concomitanza con le abitudini di costante socializzazione, studio, preghiera collettiva, e di frequente partecipazione ai rituali collegati alle festività e al ciclo vitale, hanno sicuramente facilitato la diffusione della pandemia. Ma vi hanno concorso anche forme di aperta ribellione e ostilità verso quello che era percepito come un attacco alle proprie usanze e convinzioni religiose.

Per quanto riguarda invece l’istruzione, non si è trattato di un problema contingente come quello legato all’emergenza sanitaria, ma di una situazione più annosa e pervasiva.

Già da diversi anni infatti è noto che un buon numero di yeshivot e scuole chassidiche elementari e medie nello stato di New York non rispettano le linee guida dei distretti scolastici cui appartengono.

Tuttavia, le istituzioni hanno lasciato correre, perché i leader chassidici hanno violentemente protestato contro ogni tentativo di fare osservare tali prescrizioni, esercitando forti pressioni su sindaci e governatori dello Stato di New York per non costringere le scuole a seguire provvedimenti ritenuti ingiusti e discriminatori. Ancora nelle campagne del 2022 per le elezioni del sindaco di New York, i due maggiori candidati in lizza, Yang e Adams, hanno assicurato il proprio appoggio ai leader chassidici, promettendo di proteggere la libertà religiosa e culturale delle scuole una volta eletti, assicurandosi così il sostegno elettorale di questa comunità al momento del voto. Tradizionalmente gli ebrei ultraortodossi americani seguono le indicazioni elettorali dei loro leader votando in blocco compatto e i politici non si peritano di corteggiarli.

Lo Stato federale riconosce effettivamente la possibilità di speciali accomodamenti per minoranze religiose o etniche. Il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti riconosce ad esempio la libertà di parola e di stampa ma anche di culto. I dirigenti delle scuole chassidiche si appellano dunque a questi principi per condurre l’insegnamento a modo proprio, coerentemente con la loro impostazione isolazionista, avversa alla modernità e ad ogni contatto con il mondo esterno considerato fonte di assimilazione e di corruzione. Il comandamento che li ispira vuole che ogni momento sia dedicato allo studio della Torah e del Talmud. Ogni altra cosa è considerata di secondaria importanza o addirittura causa di pericolosa contaminazione.

Lo Stato di New York, d’altra parte, vuole formare cittadini colti e consapevoli, capaci di comunicare efficacemente, di leggere e scrivere a un livello moderatamente sofisticato, istruiti per lo meno nelle nozioni base di matematica, scienze, storia e studi sociali, attenendosi in questo ai principi democratici del diritto universale ed egualitario all’istruzione.

Negli ultimi decenni, ma con maggiore assiduità dal 2018, l’insegnamento impartito nelle scuole chassidiche ha suscitato interesse nell’opinione pubblica, sia per ripetute inchieste mediatiche, sia per cause intentate da singoli individui ed associazioni ebraiche quali Yaffed (Young Advocates for Fair Education) presso il tribunale federale per la presunta incostituzionalità delle esenzioni speciali godute da queste scuole. Ne sono seguite nuove linee guida da parte del distretto scolastico newyorchese da applicarsi a scuole private, ivi incluse quelle ortodosse; quindi, nuove battaglie legali intraprese congiuntamente da dirigenti di comunità chassidiche con quelli di scuole private cattoliche, e così via, fino alle ultime direttive del 2022.

È stato proprio un articolo del New York Times[1] apparso alla vigilia di queste revisioni, nel settembre 2022, a porre in piena luce lo scandalo rappresentato da un buon numero di yeshivot chassidiche che ricevono milioni di dollari in fondi pubblici ma deliberatamente evadono le direttive statali riguardo agli standard di istruzione obbligatoria ed equivalente da impartire agli studenti.

A differenza delle altre scuole ebraiche generalmente di buon livello, infatti, le yeshivot di alcune sette di chassidim – un sottogruppo dei charedim – non si conformano ai requisiti minimi di istruzione richiesti dallo stato di New York in cui risiedono, né rilasciano diplomi equivalenti a licenze medie o superiori.

In queste scuole le lezioni si tengono in yiddish e agli scolari maschi fino ai 13 anni sono impartiti insegnamenti di inglese o matematica solo nell’ultima ora e mezza di una lunga giornata di studi di 8 ore, quando i ragazzi mostrano stanchezza e disattenzione, e per soli quattro giorni alla settimana. Non di rado gli insegnanti stessi sono poco preparati e dimostrano scarsa conoscenza della lingua inglese. I ragazzi, abituati a parlare yiddish, escono da queste scuole spesso incapaci di leggere un libro, un giornale, un documento, o di compilare un modulo e a mala pena sanno fare addizioni e sottrazioni.

La maggior parte dei genitori che iscrivono i loro figli alle yeshivot si dicono soddisfatti della loro scelta e comunque si uniformano – vuoi per convinzione, vuoi per timore di essere ostracizzati -alle tradizioni della loro comunità, per cui lo studio della Torah e del Talmud, dei testi canonici, di preghiere e rituali, e la discussione halachica, costituiscono gli elementi essenziali della formazione dei ragazzi. Spesso le ragazze ricevono una più comprensiva istruzione nelle discipline laiche, in quanto discriminate rispetto all’insegnamento dei testi sacri e in quanto è spesso proprio a loro che spetta l’incarico di mantenere finanziariamente i propri familiari.

Ma in generale, gli studenti delle yeshivot newyorkesi non sono forniti degli strumenti indispensabili a vivere nella società che li circonda. Qualora desiderino compiere studi superiori per specializzarsi professionalmente o muoversi oltre i confini dell’ambiente  protettivo in cui sono cresciuti, risultano fortemente svantaggiati, privi delle più basilari competenze e costretti eventualmente a frequentare  corsi di recupero per aspirare all’ammissione presso una qualsiasi università. Sono stati appunto alcuni di questi genitori o giovani studenti (con il sostegno di Yaffed) a muovere causa e sollevare il problema.

I contributi stanziati dallo Stato per scuole private comportano l’osservanza dei requisiti di istruzione minima richiesti dai distretti scolastici statali, mentre finora un tacito e del tutto illecito accordo fra dirigenti delle istituzioni in gioco ha consentito di ignorare tali direttive, contravvenendo in tal modo alla legalità. È interessante notare che mentre queste comunità fanno di tutto per isolarsi e resistere a quelli che ritengono i pericoli assimilanti e corrompenti della modernità, disprezzando qualsiasi regolamentazione proveniente da organi istituzionali dello Stato, molte delle loro scuole si avvalgono dei finanziamenti statali disponibili ed anzi incoraggiano i genitori dei propri allievi affinché facciano domanda per ottenere speciali contributi.

Negli ultimi anni, a seguito di un’agevolazione delle procedure, numerose scuole ultraortodosse hanno ottenuto considerevoli finanziamenti, in percentuale assai più alta di altri istituti scolastici, per ottenere insegnanti di sostegno, psicologi e altre forme di assistenza a favore di scolari con handicap e disabilità. Molte nuove agenzie utilizzate da queste scuole sono sorte, con l’intento di procurare tali servizi. Esse richiedono spesso cifre esagerate e in realtà forniscono personale non adeguatamente specializzato o che le scuole utilizzano per fini diversi, quali ad esempio l’istruzione in lingua ebraica. Come documentato dal New York Times, l’altissimo numero di domande per tali servizi di sostegno non corrisponde al numero di bambini effettivamente portatori di handicap. Lo sfruttamento di risorse statali non utilizzate per il fine cui dovrebbero essere destinate è un ulteriore esempio di corruzione e illegalità. Evidentemente, la determinazione delle comunità chassidiche ad evitare che i propri membri vengano in contatto con la società civile circostante per scongiurare paventate contaminazioni, non impedisce di escogitare frodi per accedere a risorse pubbliche cui non avrebbero diritto.

Del resto, il fatto stesso che si impedisca un’istruzione di tipo laico, perpetua l’impossibilità di accedere a professioni più remunerative e induce quindi a richiedere sussidi finanziari statali per i bassi redditi. Un gran numero di famiglie chassidiche si trova effettivamente ai limiti dell’indigenza. Tuttavia – altro elemento indice di corruzione – alcune di queste scuole inducono gli stessi insegnanti a dichiarare meno di quello che guadagnano proprio al fine di ottenere sovvenzioni che non sarebbero loro dovute.

Può anche darsi che effettivamente – come sostengono i loro difensori – le famiglie chassidiche siano di media più felici, echeggiando il noto incipit tolstojano, ma di sicuro non sono troppo felici i ragazzi che – secondo le testimonianze raccolte da Yaffed e dal New York Times – ricevono ripetutamente punizioni corporali nel corso delle lezioni, rivelando abusi e violenze assolutamente inaccettabili per la legge statunitense. Né sono felici quei ragazzi o quegli adulti che non riescono ad adattarsi al sistema e, rifiutati ostilmente dalla comunità di provenienza, con grande difficoltà la abbandonano; impossibilitati a trovare un lavoro o perfino a capire gli interlocutori della società circostante, si ritrovano non di rado in condizioni di estrema povertà o in preda all’assuefazione di droghe.

Nel corso del tempo, gruppi di minoranze etniche e/o religiose hanno tentato di resistere all’assimilazione o all’uniformità omogeneizzante della società americana facendo valere diritti di libertà religiosa e di controllo genitoriale sull’educazione ricevuta dai figli. Ma il legittimo desiderio di tutelare le proprie tradizioni e i propri valori culturali tramandandoli alle giovani generazioni, o l’opposizione all’egemonia di una cultura dominante e omogeneizzante che non lascia spazio alla diversità di altre etnie o religioni, tendono spesso, presso i gruppi più conservatori, a sfociare nell’aperta avversione per qualsiasi norma, mandato o regolamentazione istituzionale percepiti come indebite interferenze o attacchi alla propria sopravvivenza, da parte di un’autorità statale che si misconosce.

L’ideologia cosiddetta libertaria dei più estremisti fra i gruppi reazionari che prosperano negli Stati Uniti si oppone all’insegnamento della teoria evoluzionista, e vuole introdurre censure di libri e discipline, mirando ad una completa autonomia da qualsiasi regolamentazione statale o insegnamento della cultura laica. Nonostante le differenze ideologiche e culturali, i charedim si avvicinano per molti aspetti a queste frange estremiste nella loro insofferenza per la regolamentazione statale e nelle conseguenti azioni legali intraprese per contrastarla.

Come hanno reagito i chassidim alle segnalazioni del NYT? Dipende. Un mese dopo la pubblicazione dell’articolo, la Central United Talmudic Academy (CUTA), una yeshiva di Brooklyn dove studiano più di 5000 studenti tutti o quasi appartenenti alla comunità Satmar, ha accettato di pagare oltre 8 milioni di dollari in sanzioni dopo aver ammesso di aver frodato il ministero dell’istruzione.

Secondo le ammissioni dei dirigenti del CUTA, la scuola aveva ricevuto milioni di dollari di rimborso per un programma che avrebbe dovuto fornire pasti agli studenti della yeshiva. Peccato che secondo gli accertamenti del ministero della giustizia, l’accademia talmudica avesse utilizzato la maggior parte dei fondi ricevuti per feste private organizzate da adulti e che i pasti effettivamente forniti non rispettassero i requisiti nutrizionali previsti dal programma.

Se il procuratore distrettuale di New York scopre una frode di milioni di dollari e se i responsabili della truffa confessano e pagano la multa si suppone che essi abbiano tutto l’interesse a mantenere un basso profilo. Ma questo non è stato il caso dei chassidim. A gennaio, Agudath Israel of America (AIA), l’organizzazione che da 100 anni rappresenta gli interessi degli ultraortodossi negli Stati Uniti ha lanciato una campagna mediatica con lo scopo di dimostrare che le denunce del NYT sono solo il frutto dei pregiudizi antisemiti della testata americana. In questo modo, AIA ha sfruttato in modo indecente una minaccia autentica per proteggere un sistema educativo che in alcuni casi nega i valori fondanti dei moderni stati democratici (l’uguglianza tra uomini e donne).

Gli ebrei hanno sempre attribuito grande valore alla cultura e all’istruzione e privare i ragazzi dell’insegnamento di discipline laiche e degli strumenti validi per la conoscenza e la partecipazione a tutto campo nella società civile, non giova ai futuri membri della comunità chassidica, ai loro genitori o alle loro guide spirituali e culturali. Tuttavia, i leader di molte yeshivot newyorchesi sono consapevoli che l’osservanza ultra-rigorosa di precetti religiosi comporta necessariamente un isolamento che tuteli l’identità delle comunità charedi dalle influenze nefaste della modernità. Essi comprendono che una popolazione studentesca in grado di leggere correntemente l’inglese sarà più sensibile alle lusinghe della modernità e più esposta al rischio fatale dell’assimilazione. Di fatto, per il modo in cui è stato concepito, il curriculum di studi delle yeshivot impedisce – pur con significative eccezioni – agli studenti di trovare un lavoro al di fuori delle enclave dei Satmar, Chabad, Bobov e altre dinastie chassidiche, rendendoli ancora più dipendenti dalla comunità ultra-ortodossa.

Resta quindi da vedere come una comunità strenuamente decisa a preservare le proprie tradizioni riuscirà a farlo senza compromettere i diritti fondamentali di minori ed adolescenti.

 

[1] The New York Times – 11 settembre 2022″In Hasidic enclaves, failing private schools flush with public money”by  Eliza Shapiro e Brian M. Rosenthal

 

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