di Sandro Ventura

Se vogliamo avvalerci della simbologia psicanalitica per interpretare la storia dei nostri giorni, possiamo dire che il movimento sionista ha potuto trovare una sua incerta unità attraverso l’annientamento del Dio Padre e della sua Torà, per sposare e convivere con la Madre Terra d’Israele, che è diventata un oggetto di amore esclusivo, idealizzata se non deificata ed idolatrata. Negli ultimi anni, forse, per il rafforzamento della componente ultrareligiosa e messianica del movimento sionista, questa dinamica edipica sta trasformandosi nell’inconscio dei sionisti ultrareligiosi, in uno strano ed inedito “ménage a trois”, un triangolo in cui Elohim, ‘Am Israel ed Eretz Israel convivono in modo incestuoso.

Questa dinamica perversa implica un desiderio più o meno inconscio di annientare tutti quanti, in qualche modo, possono interferire in questa relazione incestuosa con la Madre Terra, a cominciare dal popolo palestinese, al quale non può venire concesso nessuno spazio fisico in Eretz Israel. Ma anche l’ebraismo diasporico, e soprattutto quello americano, che pure qualche titolo avrebbe di poter esprimere il proprio amore ed il proprio interesse per quella terra e per il popolo d’Israele, sembra infastidire per le intromissioni critiche e per la libertà dei pensieri e dei sentimenti, e viene silenziato o inascoltato da parte dei ferventi ultranazionalisti, incluso “Re Bibi” Netanyahu e la schiera dei suoi poco raccomandabili gregari.

La folle carneficina del 7 ottobre, organizzata e messa in atto da Hamas, non ha avuto altro esito che rinforzare la perversa dinamica edipica di una parte degli israeliani, producendo un terrore altrettanto folle di poter perdere la terra, oggetto di amore esclusivo, e ha spinto il governo di destra israeliano a reagire in modo impulsivo, spingendolo verso un obbiettivo irraggiungibile: annientare Hamas, i cui capi sono all’estero, e la cui manovalanza verrà sempre più incrementata dalla reazione israeliana. Quale orfano palestinese, deprivato della famiglia, della casa e dei beni di sussistenza, rinuncerà a vendicarsi di ciò che ha subito?

La dinamica di Hamas è speculare a quella dei fanatici sionisti: non potendo intrattenere un rapporto esclusivo con la Madre Terra, vuole annientare il popolo d’Israele per prenderne il posto. Lo testimonia lo squallido slogan “Palestina free from the river to the sea” che esclude la possibilità di una presenza ebraica su quella terra. In questa dinamica “o noi o loro” si rischia veramente che i due popoli si annientino a vicenda, come in una tragedia greca, a meno che un “deus ex machina” (gli USA? l’Europa?) intervenga per fermare il massacro.

Molti in Israele identificano il popolo palestinese con ‘Amalek, il biblico persecutore del nostro popolo, che ha infierito spietatamente sui più deboli e indifesi, come ha fatto Hamas. E questo complica la situazione, inducendo una regressione all’epoca mitica di re Saul, all’Evo Antico, anziché prendere atto razionalmente che l’unica via di uscita da questo vicolo cieco è quella di fermare la guerra, di cercare un compromesso, e di trovare alleati esterni che possano mediare e dare garanzie di non belligeranza e di disarmo.

 L’esasperazione del conflitto nuoce a Israele più che a Hamas, e non solo allo Stato d’Israele, ma a tutti gli ebrei nel mondo, come testimonia l’incontrollabile rigurgito antisraeliano/antisemita a cui assistiamo. L’immagine che Israele sta dando al mondo è orribile, e non si può pensare di non tenerne conto senza conseguenze. Israele, con la guerra di Gaza e con il trattamento aggressivo e discriminatorio nei confronti dei palestinesi della Cisgiordania, non sta facendo il proprio interesse, ma sta mettendo in atto pulsioni autodistruttive, o quanto meno distruttive della propria immagine nel mondo.

La condotta degli zeloti portò alla catastrofe del 70 d.C., alla distruzione del secondo tempio e dello stato ebraico antico. Gli zeloti, nella convinzione di avere Dio dalla propria parte, hanno sfidato Roma, senza tenere conto della sproporzione delle forze in campo, e poi hanno di nuovo fallito con la rivolta armata di Bar-Kochbà contro l’imperatore Adriano (132-135 d.C.). E quello che stanno facendo gli odierni zeloti israeliani mette a repentaglio la vita dello Stato d’Israele, forse per il troppo amore idolatrico per la terra e per l’odio incontenibile nei confronti del popolo palestinese, che impedisce loro una visione ragionevole della reale situazione.

Nelle intenzioni di Theodor Herzl (1860-1904), il padre del sionismo politico, lo stato ebraico avrebbe dovuto avere soprattutto lo scopo di accogliere gli ebrei perseguitati, ed essere radicalmente laico e con un esercito contenuto. Herzl era convinto che i rabbini dovessero rimanere nelle sinagoghe e i militari nelle caserme. La storia ha orientato Israele in una direzione opposta: gli ultrareligiosi e gli ultranazionalisti imperversano e non accennano a rinunciare a un potere che evidentemente non sanno gestire. La loro visione ideologica e discriminatoria li induce ad una incapacità di leggere la realtà complessiva e a mettere in atto tattiche estemporanee ed improvvisate, in modo irrazionale e senza nessuna capacità di elaborare una strategia a lungo termine.

Anche “Re Bibi” Netanyahu appare incastrato in questa visione, essendo però ben cosciente che l’interruzione della guerra fra Israele e Hamas sicuramente gli costerà la carriera politica e molto probabilmente la libertà personale (è imputato di molteplici e gravi reati) e forse anche la possibilità di restare in Israele. Quindi tira avanti giorno per giorno, illudendo quei “sudditi” che ancora gli credono di poter “vincere la guerra” contro Hamas, facendo leva sui sentimenti di rabbia e di vendetta di gran parte del popolo israeliano. E’ evidente che la sopravvivenza degli ostaggi israeliani (120?) nelle mani di Hamas e degli altri gruppi islamisti non è fra le sue priorità, che la morte di migliaia di civili palestinesi non gli interessa, e che anche il futuro d’Israele è per lui in secondo piano rispetto ai suoi interessi personali. 

A complicare il quadro geopolitico intervengono le pulsioni antimoderniste, antidemocratiche, reazionarie ed assolutiste di molti regimi dei paesi islamici. Ad esempio, la teocrazia iraniana, che è stata messa in difficoltà dalla rivolta delle donne, non può tollerare che in Israele la dichiarazione d’indipendenza riconosca l’uguaglianza di genere. Quella di Israele, malgrado i gravi errori politici, è stata, almeno fino ad oggi, una società pluralista e democratica. La democrazia israeliana, per quanto imperfetta, come tutte le democrazie, ed in grave crisi, come sta accadendo in tutti i paesi occidentali, rappresenta una sfida nei confronti di un regime teocratico come quello dell’Iran (ed anche di Hamas a Gaza). Non è un caso che nel pogrom del 7 ottobre 2023 ci sia stato un accanimento proprio nei confronti di quei centri e di quei kibbutzim che hanno ricercato il dialogo e l’integrazione col popolo palestinese. Inoltre si debbono tenere in considerazione i sentimenti antisemiti storicamente presenti in gran parte dell’Islam. Gli ebrei, come i cristiani, nelle società islamiche tradizionali sono stati tollerati con difficoltà e discriminati come “dhimmi”, cioè soggetti ad una tassazione speciale per poter professare il loro culto.

In queste condizioni storiche e politiche è difficile che si riesca in tempi brevi a recuperare un equilibrio delle forze in campo e a superare la terribile guerra in corso. In ogni caso, bisogna che le comunità ebraiche della diaspora siano vicine a Israele, e soprattutto che lo aiutino a non sentirsi isolato e ad essere cosciente dei propri limiti, dei propri diritti e dei propri doveri.

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