di Ilan Sheinfeld

Nel 1919, durante la Prima Guerra Mondiale, mentre si svolgeva la lotta tra i bolscevichi e i tedeschi in Russia, il poeta irlandese William Butler Yeats ebbe una visione terrificante, che fornirà la base della sua indimenticabile poesia, “La Seconda Rivelazione”. Nell’incipit scrive:

Le cose cadono a pezzi; il centro non regge più;
sul mondo dilaga mera anarchia,
l’onda fosca di sangue dilaga, e in ogni luogo
sommerge il rito dell’innocenza;
i migliori difettano d’ogni convinzione, i peggiori
sono colmi d’appassionata intensità.[1]

I versi conclusivi predicono quello che nascerà a Betlemme, e su questo ritornerò alla fine del mio scritto.

Yeats, poeta e mistico, membro dell’ordine della Golden Dawn, a mio avviso, colse allora una visione che anticipava i tempi in cui viveva e svelava il futuro delle religioni monoteistiche, identificate come un’enorme forza globale, in grado di spingere le persone, in nome di un credo messianico, a distruggere il proprio mondo e al massacro senza pietà.

Questo terribile sviluppo nella storia delle religioni si è più volte palesato nel corso dei XX e del XXI secolo. Ognuna delle tre religioni monoteistiche è stata creata ed esiste tuttora a partire dalla definizione dell’altro come infedele, destinato all’esclusione e alla persecuzione. Ognuna di esse è ultimativa nella volontà e si configura nella confessionalità e nella spinta a ottenere il meglio per i suoi credenti, a costo di colpire i valori della vita e i diritti umani dell’altro, ovvero l’infedele.

Le tre fedi monoteistiche si basano su idee messianiche assolutiste, che non consentono l’esistenza di altre fedi congruenti o in contraddizione. Chi non si affilia o non le accetta è identificato come avversario. Per annientare l’opposizione interna e confrontarsi con questioni umane al di fuori della loro portata, i leader remano contro il governo democratico e si appropriano, attraverso vie legittime e democratiche, del potere della maggioranza di agire con violenza nei confronti della minoranza del paese. Contrassegnano l’altro come traditore e nemico, usando la legittimazione ottenuta nelle elezioni per eliminare l’altro, convertendolo o eliminandolo.

Il totalitarismo permette loro di trovare giustificazioni morali per la legittimazione del razzismo, della misoginia e dell’esclusione delle minoranze e dei gruppi in posizione minoritaria, come le donne, le persone LGBT, le minoranze etniche. Tale atteggiamento genera in ogni monoteismo la formazione di movimenti razzisti, misogini e omofobi, trasformando le lotte nazionali in lotte nazionaliste, basate sulla demonizzazione dell’altro, l’odio dello straniero, del diverso e dell’altro.

Perseguire i valori della religione adottando l’approccio utilitaristico, che cerca di ottenere il meglio per il maggior numero di credenti anche a costo di ledere il valore della vita altrui, è terrificante e letale. Le religioni vengono strumentalizzate al fine di giustificare il proprio fascismo con principi etici. In tutti gli stati democratici in bilico, avviene un’unione tra le forze dell’estremismo politico e religioso e le forze politiche fasciste, che agiscono appoggiandosi al sistema legislativo democratico. La maggior parte dei nuovi dittatori cresce all’interno della destra conservatrice e religiosa e trae la propria forza dal nazionalismo combinato con il fanatismo religioso, la demonizzazione e l’utilitarismo. Sia i capi religiosi sia i dittatori percepiscono il mondo in una visione messianica e monolitica. I credenti e i sostenitori esistono solo per sostenere il loro potere e gli oppositori o chi professa un’altra fede, diventano il capro espiatorio dei loro problemi.

L’aspirazione a ottenere un potere esecutivo illimitato in un regime democratico si manifesta nelle lotte politiche, nazionali, etniche, religiose, nelle lotte delle maggioranze e delle minoranze, conflitti territoriali e guerre civili. Così è successo nella guerra civile in Kosovo, in Africa, Siria. Queste sono le caratteristiche delle terribili azioni di Daesh, Boko Haram, Hamas, Hezbollah e di altre organizzazioni terroristiche musulmane e nella guerra Russia-Ucraina. Questo è anche il cuore del conflitto israelo-palestinese.

Il conflitto israelo-palestinese è di origine territoriale. Il popolo ebraico fu esiliato dalla propria terra due volte, perché nell’antichità la deportazione e il ricambio di popolazioni servivano ai dominatori degli imperi per assicurarsi il controllo nelle terre conquistate ed era necessaria l’oppressione delle popolazioni locali.

Per duemila anni, mentre il popolo ebraico veniva perseguitato ovunque tentasse di mettere radici, dall’islamizzazione forzata degli ebrei con la nascita dell’Islam, passando per i pogrom condotti contro gli ebrei europei nei secoli XI e XII, l’espulsione dalla Spagna, l’Inquisizione in Italia, i pogrom perpetrati dai cosacchi in Ucraina, la Shoah in Europa, il Farhud in Iraq, il massacro di Hebron e altri ancora – molti conquistatori e diverse tribù nomadi si stabilirono nel territorio della Terra d’Israele; tra loro vi erano cristiani, musulmani, beduini, drusi e circassi e bahai.

Dopo la Shoah, in cui il popolo ebraico è stato quasi annientato, si formò un eccezionale consenso internazionale in merito all’urgenza di creare uno Stato ebraico democratico e con un voto alle Nazioni Unite fu sancita la fondazione dello Stato di Israele. Subito dopo scoppiò la guerra del 1948, che per noi è la guerra d’indipendenza mentre per i palestinesi è la Naqba, il disastro nazionale. Da allora il conflitto non si è mai fermato e anzi si è intensificato dopo la guerra e l’occupazione della Cisgiordania nel 1967.

Le ondate di terrorismo suscitate dal Movimento Nazionale Palestinese fin dall’inizio del processo di Oslo avevano lo scopo di far crollare lo Stato. Le firme delle due parti, hanno mantenuto la linea generale della divisione in regioni ABC dei Territori, e purtroppo le fazioni estreme di ciascuna parte hanno contemporaneamente intensificato la loro lotta, volta a distruggere ogni possibilità di pace. L’assassinio del Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin nel 2005, per mano di un estremista della destra israeliana, ha mandato in frantumi il centrosinistra israeliano, bloccando per molti anni il perseguimento della pace.

L’occupazione permanente, inoltre, ha gravemente danneggiato il popolo israeliano, trasformandolo da perseguitato a persecutore, da vittima a carnefice e ha perpetuato e incoraggiato la mutazione nazionalista e razzista degli insediamenti e del Kahanesimo (rav Kahane) e del terrorismo ebraico nei Territori. La politica degli ultimi governi israeliani, dal canto suo, ha permesso che Hamas prendesse il controllo della Striscia di Gaza ipotizzando la costruzione di un assurdo avversario dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania e della crescita e del rafforzamento di Hezbollah in Libano, sostenuti dall’Iran, costituendo una minaccia esistenziale per Israele.

Il conflitto nazionale e territoriale tra lo Stato di Israele e i palestinesi è alimentato dalle guerre di religione e dagli accadimenti storici e segue dinamiche che producono sviluppi radicali nelle esperienze di fede e nello sviluppo delle ideologie di entrambi i popoli. Purtroppo, nelle ultime elezioni in Israele, Benjamin Netanyahu, accusato di corruzione, frode e abuso di potere e ora imputato in un processo sulla legalità di acquisti di sottomarini e navi, ha stretto alleanza con le forze politiche locali più estreme e oscure, dichiarate addirittura fuori legge dal governo precedente.

Per proteggere il proprio governo e sé stesso dalla minaccia del possibile verdetto della Corte, ha affidato ai rappresentanti più estremisti del movimento nazionalista ebraico-messianico il controllo sui Territori occupati, il Ministero al Tesoro, il controllo sui terreni statali e di fatto tutti i sistemi governativi e la sfera pubblica della vita in Israele. Il suo governo ha lanciato una campagna che demonizza gli oppositori politici ed è volta a demolire le basi e le istituzioni del regime democratico in Israele.

Il governo nazionalista di Benjamin Netanyahu, con la politica di criminalizzazione degli oppositori, è di fatto un governo golpista. È stato eletto legittimamente, ma agisce in modo illegittimo e contrario ai valori di Israele, quali sono stati espressi nella Dichiarazione di Indipendenza, sancita dalla leadership guidata da Ben Gurion nel 1947, che definiva Israele uno stato ebraico democratico. La demonizzazione e l’eliminazione del principio laico, democratico e liberale che pone le basi per un governo democratico, sono funzionali al passaggio a un regime autoritario, religioso e messianico che ambisce a ottenere un potere illimitato nelle decisioni governative e costituzionali soprattutto in tema di minoranze, donne e persone LGBT.

Naturalmente questo governo ha provocato per reazione la formazione di un’organizzazione libera e apartitica di centinaia di migliaia di cittadini, confluiti in diversi movimenti civili, spinti dalla preoccupazione di difendere la democrazia, la libertà e la laicità, che non sono mai state così a rischio dal 1948. Negli ultimi nove mesi, centinaia di migliaia di cittadini hanno gremito le strade di Israele, con costanza e modalità creative, dimostrando in modo concreto la determinazione di preservare lo stato democratico di Israele, composto da 7.000.000 di ebrei, 2.000.000 di mussulmani e da cristiani e appartenenti ad altre fedi.

La profonda spaccatura creata da Benjamin Netanyahu e dal suo regime ha ingannato i nemici dello Stato di Israele, guidati da Iran, Hamas e Hezbollah, spingendoli a credere che questo fosse il momento opportuno per attaccare. Essi, infatti, sono riusciti a identificare la temporanea debolezza militare e hanno sfruttato l’elemento sorpresa, ma in questo modo hanno dimostrato di non comprendere appieno la forza della società israeliana, che comprende una buona fetta di cittadini impegnati nella protesta contro il governo attuale. Lo spirito israeliano, la solidarietà, quel modo peculiare di sentirsi uniti nei momenti di emergenza, nonostante le divergenze di opinione anche aspre, la consapevolezza di aver vissuto come popolo molte persecuzioni nel corso della storia, in primis la Shoah e di non avere un altro posto, alimentano l’idea che è dovere di Israele proteggere la propria terra a tutti i costi.

Quanto è accaduto durante la festa di Simchat Torah in Israele, la mattina del giorno sacro, lo Shabbat, è un pogrom. Nella prima ondata, i terroristi di Hamas hanno massacrato soldati e soldatesse del quartier generale che controllano il passaggio delle merci, i visti di lavoro dei lavoratori di Gaza e le misure di allarme, per poi proseguire senza ostacoli verso i pacifici villaggi israeliani. Hanno sorpreso e massacrato persone e famiglie intere nei loro letti, hanno ucciso e violentato le donne, hanno legato, bruciato e decapitato padri, madri e figli, hanno strangolato i bambini nelle culle, hanno rapito cittadini israeliani ebrei e arabi, comprese donne, anziani e neonati, portandoli come ostaggi a Gaza.

Nella seconda ondata, quando la rete della separazione era stata sfondata in molti luoghi, altre migliaia di terroristi di Gaza hanno preso d’assalto i villaggi per saccheggiarli, devastare le case, compiendo brutali atrocità che non possono essere descritte. Le scene ricordano i periodi più bui della storia delle nazioni.

Non c’è casa in Israele che non sia stata colpita. Siamo un paese piccolo e un popolo di forti legami. Tutti conoscono tutti. Non c’è nessuno che non sia stato toccato dalla perdita. Il figlio piccolo della mia amica d’infanzia Roni Belkin, figlio del sindaco di Ramat Hasharon, la mia città natale, è stato ucciso e il funerale si sta svolgendo proprio in questo momento, ma io non posso partecipare perché vivo in un villaggio isolato, nei pressi di una cittadina araba sopra una collina della Galilea. Non posso lasciare i miei figli in piena guerra per recarmi a un funerale nel centro del paese. Nel Kibbutz Be’eri vive un mio vecchio amico, nel Kibbutz Re’im un insegnante a cui sono molto legato, un professore di lettere a cui devo molto. Non oso nemmeno chiamare per sentire come sta, temo che la sua risposta mi trafiggerà il cuore.

Mentre centinaia di migliaia di palestinesi lasciano le loro case per cercare riparo dai bombardamenti dell’IDF che mirano, giustamente, a rovesciare il regime omicida di Hamas, io sono impegnato ad attrezzare la stanza di sicurezza di casa mia, a preparare il cibo e a procurarmi illuminazione, radio e mezzi di pronto soccorso. L’escalation sul fronte settentrionale con l’entrata in guerra di Hezbollah è prevista da un momento all’altro. Hezbollah sfida Israele ogni giorno e ha pubblicato i suoi piani in cui è previsto il lancio della Forza Redwan, le unità d’élite che contano 15.000 combattenti addestrati e equipaggiati, verso alcune rotte nel nord di Israele, per conquistare la Galilea fino alle città di Akko e Safed, lungo la strada 85, tagliando così il nord dal centro dello stato.

Il villaggio in cui vivo è un insediamento isolato su una montagna, che si erge appena sopra l’autostrada 85. È annidato tra villaggi arabi, con cui intrattiene costanti rapporti amichevoli e commerciali. E, Dio ce ne scampi, se Hezbollah manterrà fede alle minacce e finirà per occupare anche il nostro insediamento, in cui vivono circa 400 famiglie con pochissime armi personali e nessuna via di fuga se non una strada sterrata adatta solo ai fuoristrada, noi e molti altri paesini vicini potremmo diventare vittime del prossimo pogrom. Al momento della stesura di questo articolo, Hezbollah ha già inviato uno sciame di droni a sorvegliare il territorio oltre il confine settentrionale.

L’allarme mi ha colto in un ambulatorio medico, sito in un remoto insediamento a circa mezz’ora di macchina da casa mia, dove avevo lasciato soli i miei figli. Loro sono entrati subito nella stanza blindata, poiché a undici anni sanno già cosa fare in caso di emergenza. Credo di non aver mai guidato a tale velocità e con tanta furia tra i vari paesi e ora che sono a casa e loro sono usciti dalla stanza blindata, posso rileggere con calma l’articolo.

Oltre a sentire un profondo dolore per le persone assassinate, rapite e scomparse, vedo la sofferenza del popolo palestinese, alla mercé di Hamas e so che quel gruppo di sanguinari ha commesso un errore fatale: il terribile spettacolo che ha messo in scena, massacrando gli israeliani nei loro letti, stuprando le donne, decapitando i bambini e dando fuoco ai neonati, unito al fatto che gli abitanti di Gaza abbiano accolto con orgoglio le loro azioni e abbiano pubblicato immediatamente le foto dell’orrore sui social network, ha risvegliato in ogni ebreo, in Israele e nel mondo, le memorie storiche dei pogrom cosacchi e della Shoah, riportando ognuno di noi all’angoscia esistenziale, personale e collettiva, rendendola molto pericolosa. Quando un individuo è spinto dall’ansia della sopravvivenza, reale o immaginaria, tira fuori l’ombra, il demone, l’assassino e non la voce interiore calma, fiduciosa e armoniosa necessaria per costruire la pace.

L’attacco da parte di Hamas ha causato un danno irreversibile all’interesse nazionale del popolo palestinese, che ora cerca di riequilibrare la situazione distribuendo foto di civili feriti e uccisi dai bombardamenti dell’IDF a Gaza. Vi è però una differenza essenziale: Hamas ha deliberatamente lanciato un attacco omicida contro civili pacifici nelle loro case ed è stato prontamente seguito da cittadini di Gaza, venuti per saccheggiare, violentare e uccidere donne e bambini. Lo Stato di Israele sta bombardando Gaza dopo aver avvertito i residenti di allontanarsi dalle zone target, perché il suo obiettivo è rovesciare il dominio di Hamas e distruggere le infrastrutture terroristiche della Striscia.

Con questa guerra, Hamas ha allontanato di anni luce la possibilità per i due popoli di raggiungere un accordo di pace e di fondare due Stati, uno a fianco all’altro. A breve termine, questo porterà alla caduta del governo di Netanyahu, mentre a medio e lungo termine vedremo il rafforzamento dell’estrema destra in Israele e l’impossibilità di attuare una qualsiasi soluzione per il conflitto. Una tale condizione, a sua volta, esigerà ripetutamente che entrambe le nazioni paghino con il sangue.

E ancora torno alla poesia “La seconda rivelazione” di William Butler Yeats, che desiderava vedere la seconda nascita del Messia a Betlemme, ma vide solo la nascita di un mostro, dell’Anticristo:

venti secoli di sonno di pietra furono
ridotti a un incubo dal dondolio d’una culla,
e quale mai rozza bestia, giunta alla fine la sua ora,
arranca verso Betlemme per venire alla luce?[2]

Magari potessi essere ottimista! Magari potessi rassicurarvi che di fronte a questo deterioramento rimarrà salda la decisione degli Stati Uniti in merito all’accordo di pace con l’Arabia Saudita, agli Accordi di Abraham e ad altri nuovi accordi da stabilire tra Israele e i suoi vicini! Sono nato e cresciuto qui, ho vissuto in prima persona la maggior parte delle guerre di Israele e ho assistito a innumerevoli dichiarazioni di cessate il fuoco e di cerimonie per la firma di trattati di pace. Non credo che ora, dopo quello che è successo qui, potremo ricacciare il demone nella grotta da cui è uscito. La soluzione “due Stati per due popoli” si realizzerà solo se gli Stati Uniti e i paesi occidentali costringeranno le due nazioni e i loro leader a negoziare accordi di stabilità e di pace che simbolicamente potranno essere firmati solo a Betlemme. Solo allora sarà possibile pensare che in

questa città non nasce l’Anticristo, ma il Messia d’Israele, Gesù e Maometto insieme.


Ilan Sheinfeld (Israele, 1960) è scrittore e poeta, redattore ed editor indipendente. È stato uno dei primi a fare coming out in Israele ed è padre single di due gemelli di undici anni, nati da maternità surrogata in India. Ha scritto 30 libri di poesia e di narrativa, una guida per scrittori e libri per bambini, opere teatrali e sceneggiature, che hanno vinto numerosi premi, tra cui due volte il Premio del Primo Ministro (1990, 2015) e il Premio Brenner per la letteratura (2021). Ilan è uno dei leader della protesta degli scrittori contro il nuovo governo in Israele e in questo contesto ha avviato, curato e prodotto i Fogli della Protesta e i Fogli di letteratura, saggistica e arte, strumenti di protesta contro il governo.  


Traduzione di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano


[1] Trad. dall’inglese di Ariodante Marianni.
[2] ibidem

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