di Bruna Laudi

Nedelia

Nedelia a Sauze D’Oulx con Giorgio, Marcello Costa e Puck, 1943

Il libro di Chiara Segre si legge in breve tempo, un viaggio in autobus da Pinerolo a Torino, ma le sue dimensioni sono grandi, nello spazio e nel tempo. Sono le dimensioni degli affetti, di una nonna speciale, che continua a emanare serenità, dolcezza ed equilibrio anche ora che non è più tra noi.

Questo testo è un’operazione letteraria originale: una nipote, Chiara, parla con la voce della sua nonna e racconta di un’infanzia spezzata dalle leggi razziali, ma non vinta. Il libro è quindi la trascrizione fedele dei ricordi che Nedelia narrava ai nipoti e ai ragazzi delle scuole dove portava la sua testimonianza: Chiara ha messo insieme la tradizione orale dell’infanzia e gli appunti scritti dalla nonna negli anni e trovati nella scatola che Nedelia portò con sé, andando alla casa di riposo, quando sentì di non riuscire più a essere indipendente. Al lettore sembra di leggere il diario di Nedelia e di vederla mentre racconta, con stupore, le vicende terribili della sua infanzia, o parla del suo amico immaginario o del fascino che esercitava su di lei il cielo stellato. Il libro è impreziosito dalle illustrazioni: fotografie di delicati ricami, eseguiti da Alessandra Ochetti, che interpretano alcune parti del testo, rivelando una sensibilità che non lascia indifferenti.

Chi ha avuto la fortuna di conoscere Nedelia sa che conservava i tratti della bambina che era stata e la gioia di vivere, di raccontare, di comunicare: Chiara riesce a riprodurre con la sua scrittura le peculiarità della nonna e a comunicarci, senza dirlo esplicitamente, il grande affetto che le legava.

Ci introduce alla lettura Rav Pierpaolo Punturello aiutandoci a riflettere sulla descrizione di un mondo che a volte perde i suoi colori, come scrive Nedelia nella poesia che compare sul frontespizio: ma essi ritornano e sono preziosi e non bisogna lasciarli fuggire. Un messaggio che è una sorta di etica dell’ottimismo.

Rav Roberto Colombo nella sua “Lettera a Nedelia” ci riporta a una dimensione più intima dove la capacità di accogliere le persone con allegria si unisce al dono di un insegnamento vivo, coinvolgente, che ha educato all’ebraismo, e non solo, generazioni di allievi della scuola ebraica di Torino.

Aggiungo che, come una volta gli artigiani trasmettevano ai figli gli antichi mestieri, così è successo in questa straordinaria famiglia e le doti pedagogiche sono passate in eredità fino a Chiara.

Nedelia nello spazio, ricamo a mano di Alessandra Ochetti

Soprattutto è importante il messaggio che Nedelia prima e Chiara ora, vogliono trasmettere: si può raccontare la Shoah ai bambini? Sì, si può e si deve, ma nel modo giusto. Non terrorizzandoli con gli orrori, col rischio di sollecitare curiosità morbose, ma mettendo in luce gli atteggiamenti positivi che, anche nei periodi più bui, emergono e danno luce all’umanità: la famiglia Costa che ospita la piccola Nedelia a Sauze d’Oulx nell’inverno tra il 1943 e il 1944 o le suore dell’Istituto del Buon Pastore che la nascondono fino alla fine della guerra. Nedelia è ben cosciente di quanto ha ricevuto e si chiede “Ma io, in mezzo a un oceano di odio, avrei dato rifugio ai figli di un altro popolo?”. Questa è la domanda che tutti dovremmo porci.

Solitamente, quando si recensisce un libro, non ci si sofferma sulla presentazione che ne è stata fatta al pubblico: ma, in questo caso, non si può fare a meno di raccontare l’emozione che tutti abbiamo provato ritrovandoci numerosi nel centro Sociale della Comunità Ebraica, con un pubblico eterogeneo per età, alla presenza di tanti bimbi. Insieme all’autrice, all’illustratrice e a Mara Di Chio, che coordinava l’incontro, c’era un signore che nessuno conosceva, silenzioso, a tratti quasi imbronciato: ha esordito dicendo che in famiglia lo rimproveravano di non conoscere le buone maniere e lui, molto serio, ha attribuito le sue manchevolezze a Nedelia! Un attimo di stupore collettivo, poi ha raccontato di essere Giorgio Costa, uno dei due fratellini ritratti con Nedelia allora quattordicenne nell’inverno del 1944 sulle nevi di Salice d’Ulzio (foto a pag.44), località italianizzata nel nome, secondo la legge fascista! Per giustificare la presenza della ragazzina la mamma aveva detto ai due bimbi che era stata assunta per educarli… È seguito il racconto di come Giorgio, che abita a Buenos Aires, abbia ritrovato Nedelia solo nel 2007, grazie a Internet: il loro primo incontro è stato al Seder (cena pasquale) in casa Segre nel 2008, in seguito ci sono stati i riconoscimenti ufficiali dell’eroico comportamento dei genitori di Giorgio da parte della Comunità di Torino prima e poi dello Yad Vashem. All’emozione del libro si è quindi aggiunta quella dei legami ritrovati che hanno permesso a tutti noi di vedere l’arcobaleno, come avrebbe voluto Nedelia.

 

Chiara Segre, Nedelia nello spazio Ed. Salomone Belforte & C, Livorno, pp. 49, €14,00

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