Intervista a Frida Malan di Elena Rossi Artom – Torino, giugno 1997
Shalom, Le invio un’intervista che avevo fatto alla Dott. Prof. Frida Malan nel 1997, quando ero a Torino [nel periodo in cui il marito, rav Menachem Emanuele Artom zl, era Rabbino Capo, ndr]. La prego di pubblicare questa intervista, in cui si parla del partigiano Emanuele Artom, cugino di mio marito Z”L.
Reputo che essa possa interessare i lettori di Ha Keillah
Grazie,Elena Rossi Artom
Ringraziamo calorosamente la signora Elena Rossi Artom per questa preziosa testimonianza che pubblichiamo molto volentieri.
HK
Mi sono rivolta alla prof. Frida Malan, quale partigiana durante la Seconda Guerra Mondiale perché raccolgo testimonianze sul cugino e omonimo di mio marito, Emanuele Artom, partigiano ucciso sotto gravi torture dai nazifascisti il 7 aprile 1944.
Queste testimonianze servono a completare le notizie su questo grande martire delle persecuzioni conservate presso l’istituzione Yad Vashem a Gerusalemme, che tramanda la memoria delle vittime dell’Olocausto (Shoà).
Quali sono i suoi ricordi e come ha conosciuto Emanuele?
Mi fa molto piacere, Signora, poter parlare un po’ con Lei di Emanuele Artom, che ho conosciuto nella mia e sua giovinezza, e sulle sue attività all’Università. Sulla sua volontà di ricordare sempre al suo popolo tutto ciò in cui credeva e che sembrava giusto e degno di essere storicamente affermato.
Ho conosciuto Emanuele Artom in un periodo durante il quale ero ospite dell’Y.W.C.A. e per combinazione la mia camera era a Torino, in via S. Secondo 70, proprio di fronte alla casa dei signori Artom. Emanuele spesso passeggiava nei miei paraggi ed essendo vicini di casa prendemmo l’abitudine di fare insieme la strada per andare all’Università, dove eravamo tutti e due iscritti alla facoltà di Lettere in via Po. Egli era maggiore di me di due anni, si chiacchierava e così siamo diventati amici. Eravamo nel 1935. Io frequentavo la sua casa, dove si riunivano alcuni amici, fra i quali Primo Levi e tante altre persone del mondo ebraico torinese e altri interessati ai problemi politici del momento. Le vere persecuzioni iniziarono tre anni dopo, ma già allora, nel 1935, Emanuele mi diceva che era allarmato e preoccupato: essendo uno studioso di storia ebraica, soprattutto, prevedeva negli anni futuri cose molto gravi. Quanto succedeva in Germania lo metteva in apprensione e si stupiva con una certa angoscia che gli ebrei, il suo popolo, non realizzassero quanto poteva pericolosamente avvenire. Il suo pensiero costante era quello che tutti gli ebrei capissero il pericolo che incombeva sulle loro teste e si preparassero. Affermava che in quel momento il suo scopo era di cercare di sensibilizzare la sua gente, ma pochi l’ascoltavano e se ne struggeva: questa, mi spiegava, era la sua grande tragedia personale. Mi spiegava le sue concezioni e le sue idee che sono state molto importanti per la mia formazione umana e politica: avevo diciotto anni e lui venti. Era uno dei pochi non iscritto al fascio. Anche all’Università teneva, negli intervalli, discorsi politicamente polemici ed esponeva senza timore la sua fede che non era quella fascista. Ha fatto una grande opera di informazione intellettuale antifascista ante litteram.
Mi racconti qualcosa di se stessa.
Sono figlia di un pastore valdese e già a dodici anni amavo studiare Mazzini, ma certo Emanuele ha contribuito a radicarmi e dirigermi verso quelle che divennero poi le mie idee politiche.
Emanuele aveva un fratello, Ennio, di cinque anni più giovane, molto più brillante di lui, forse, e probabilmente prediletto dai genitori perché più piccolo. Emanuele aveva molto affetto per il fratello e fu assai colpito dalla disgrazia occorsagli per un banale incidente in montagna per cui rimase ucciso sul colpo. Questa disgrazia ha distrutto l’armonia della famiglia in un primo tempo; la madre quasi impazzì dal dolore.
Nel 1943 la famiglia Artom è sfollata a Moriondo, vicino a Chieri, dove era nascosta. Io tenevo i contatti tra Emanuele, partigiano alla macchia e allora commissario politico della formazione “Giustizia e Libertà” (Partito d’Azione), e i suoi genitori.
Spesso Emanuele mi parlava di una graziosa e bella creatura che sperava di sposare per garantire ai suoi discendenti una costituzione più forte della sua: sempre pensava al futuro del suo popolo e di se stesso, legato al suo popolo.
Toccò a me il difficile compito di comunicare la sua tragica morte il 7 aprile 1944. Il padre, già colpito da un ictus, mi ha fatto capire che suo figlio aveva fatto quanto era umanamente attuabile e ne era fiero.
Viceversa, la madre ha reagito ribellandosi e quasi incolpando il figlio della sua terribile fine. I genitori avevano finanziariamente e organizzativamente predisposto un suo espatrio in Svizzera: la madre, che aveva già perduto il figlio minore, non comprendeva l’eroismo del figlio.
Spesso li andavo a trovare: il padre capiva l’importanza del sacrificio di Emanuele ed era evidente che ragionava come suo figlio; per la madre era diverso, non se ne dava pace. Poi le cose si sono placate, ma non è stato facile.
Frida Malan prosegue affermando che il sacrificio eroico di Emanuele era mirato per la storia futura del suo popolo in Italia. I giovani di allora volevano un mondo diverso ed Emanuele si è esposto ed ha amato il suo popolo più di se stesso, pensando al futuro della sua gente, all’immagine che voleva restasse di […].
Emanuele ha amato il suo popolo più di se stesso, più di quanto l’hanno amato la maggior parte degli altri; questa è la sua grandezza. Poteva scappare e salvarsi, ma non l’ha fatto, anche se poteva farlo materialmente.
Grazie, la ringrazio molto e… ha ancora qualcosa da dirmi sulla personalità di Emanuele?
Emanuele era molto portato agli studi, aveva un senso critico eccezionale, era dotato intellettualmente moltissimo, senza però uccidersi per studiare. Il suo mondo era lo studio e ritengo che fosse la sua missione, se così si può dire, il testimoniare per il suo popolo quello che lui aveva intuito, capito e che aveva previsto prima degli altri. Era triste perché la sua gente non era disposta a credergli: “Il mio popolo deve sapere cosa succede in Germania, ma sono ciechi? Non vogliono vedere?” Tutto questo avveniva prima del ’38, la gente si illudeva e poi è stata colta di sorpresa.
Per il popolo italiano e per noi valdesi in particolare non esisteva il problema ebraico e molti hanno fatto sacrifici e rischiato la vita per salvare ebrei. Poi ho conosciuto lungo la mia vita molti altri ebrei e ho anche stretto vincoli di amicizia con alcuni, che ancora ricordo e che incontro. Ma questo è un altro discorso, non c’entra più purtroppo Emanuele.
Frida Malan
Oltre al poco che racconta di sé ricordiamo che Frida Malan (1917-2002), valdese, fu partigiana combattente nelle formazioni GL in Val Pellice (congedata con il grado di Capitano dell’Esercito di Liberazione). Socialista, impegnata nelle associazioni di tutela dei diritti e del lavoro delle donne, è stata consigliera e assessora della Città di Torino.