Intervista a Dani Rahamim
di Anna Rolli

 

Negli anni passati HaKeillah ha già pubblicato articoli su Dani Rahamim, israeliano che per tutta la vita si è impegnato a favorire il processo di pace, collaborando anche con il movimento Shalom Achshav. Dani è portavoce del kibbutz di Nahal Oz, dove vive con la moglie Shivonne e che sorge a 800 metri dalla striscia di Gaza. Si tratta di una delle zone più colpite dai bombardamenti di Hamas, nella quale ogni famiglia ha un bunker in casa, piccolo ma capiente abbastanza da poter accogliere tutti nel momento in cui risuoni lo Zevà Adom, l’allarme dopo il quale si hanno una manciata di secondi per ripararvi. I bunker sono disseminati lungo tutte le strade e nei giardini pubblici e le scuole e gli asili sono costruiti come bunker inespugnabili. La popolazione da sempre aspira alla pace….

Riferisce Dani: “Sicuramente gli accordi di Abramo e il superamento della crisi economica sono stati due buoni risultati ottenuti da Benjamin Netanyahu, però rimangono tre capi d’accusa nei suoi confronti. Netanyahu una volta ha dichiarato che vorrebbe essere ricordato come colui che ha difeso Israele, invece sarà ricordato con vergogna, perché è accusato di corruzione, teme di essere condannato e di finire in prigione e per questo si è accordato con i partiti religiosi. Loro lo aiuteranno a controllare la magistratura e lui in cambio concederà finanziamenti alle yeshivot e sostegno agli insediamenti illegali come Gush Emunim. Si tratta di fanatici religiosi, che non credono nello Stato democratico e nelle leggi laiche; per loro contano soltanto le leggi della Torah dove sarebbe scritto, tra l’altro, che tutta la terra appartiene agli ebrei. Si tratta di un governo di estrema destra, pericoloso.

Io sono un uomo di kibbutz, socialista e democratico e, per seguire i miei ideali, ho votato il Mefleget haAvodà, il partito del lavoro, anche se si tratta di un piccolo partito. Quello di Binyamin Gantz è liberista, di destra, invece quello di Yair Lapid è di centro, con una identità non ben definita, su alcune problematiche sembra vicino alla sinistra su altre meno. Molte persone dei kibbutz, pur di fermare Netanyahu, hanno preferito votare Lapid, perché temevano che il partito laburista non avesse la possibilità di superare lo sbarramento. 

Da cento anni combattiamo con gli arabi e tutti i metodi violenti li abbiamo già sperimentati senza giungere a nulla. Oggi, quando c’è uno scontro a fuoco in Israele, Hamas lancia missili sui kibbutz di confine, vale a dire su di noi, allora l’esercito bombarda Gaza e poi si ricomincia da capo. È diventata una routine e non ha più alcun senso. Soltanto gli accordi di Oslo avevano tentato di risolvere le cose pacificamente. In questa sede non è possibile analizzare il perché del loro fallimento, però dovremmo migliorarli e poi tentare di nuovo. Dovremmo organizzare una conferenza internazionale con gli Stati Uniti, l’Europa e tutti i paesi arabi e, in cambio della pace, offrire ad Hamas finanziamenti per ricostruire Gaza. Non avremmo nulla da perdere. Se Hamas dovesse rifiutare, perlomeno Israele guadagnerebbe una immagine più positiva agli occhi del mondo.

Con questo governo purtroppo non ci sono possibilità di avviare un processo di pace, perché i partiti religiosi, specialmente quello nazionalista, pensano che non si debba cedere la terra. Hanno abbandonato qualsiasi aspirazione alla pace, non accettano alcun compromesso sui territori e se si è deciso in anticipo di non cedere terra ai palestinesi, di che cosa si parla?

Dopo la guerra dei sei giorni Israele offrì di restituire tutte le terre conquistate, chiedendo in cambio il riconoscimento e la pace. Come sappiamo, gli arabi rifiutarono, ma oggi è Israele a rifiutare mentre gli arabi accetterebbero. I palestinesi chiedono la restituzione delle terre che Israele ha occupato nel 1967 ed inoltre il diritto al ritorno per i profughi e i loro discendenti. Quest’ultima condizione è ovviamente inaccettabile, però si tratterebbe soltanto dell’inizio; in tutti i negoziati all’inizio si chiede il massimo e l’impossibile ma ciò non significa che poi non si possano raggiungere dei compromessi. I negoziati servono proprio a questo, ad arrivare, alla fine, ad un compromesso ragionevole e accettabile dalla controparte.  

Penso che Israele dovrebbe tentare, ma con questo governo non sarà possibile. Non offrono terra, ma “pace in cambio di pace”. I palestinesi dichiarano di aver già rinunciato al 78% del territorio e che gli ebrei non vogliono lasciare loro neppure il 22% rimasto e che ora è sotto occupazione.

I partiti religiosi sono tre,  i charedim ashkenaziti   di Yahadut HaTorah, i charedim sefarditi dello  Shas e, infine, i datim leumim del Partito Nazionale Religioso. Gli ebrei europei, quando nacque il movimento sionista, nella seconda metà dell’ottocento, al 90% erano religiosi, come sono attualmente gli charedim, e si schierarono decisamente contro il sionismo perché, secondo loro, era contrario alla Torah. Ancora oggi alcuni charedim si dichiarano anti-sionisti, perché Theodor Herzl diede inizio al movimento prima della venuta del Messia e nel Talmud è scritto che solo il Messia ricostituirà lo Stato ebraico.

Attualmente forse sono diventati un po’ meno estremisti, però ancora non credono nel sionismo. Per es. i charedim ashkenaziti, quando hanno avuto la possibilità di ottenere l’incarico di ministro, hanno rifiutato, perché assumendolo avrebbero implicitamente riconosciuto lo Stato d’Israele; quindi, hanno accettato solo l’incarico di viceministri che non siedono nel Consiglio. Lo Shas, invece, accetta lo Stato, ma non la democrazia, certo parlano nella Knesset, specialmente contro la sinistra, ma sono contraddittori, perché in verità vorrebbero imporre allo Stato la legge della Torah.

Il loro leader era Yosef Ovadia, un uomo moderato che si era dichiarato favorevole agli accordi di Oslo; purtroppo dopo la sua morte lo Shas è scivolato su posizioni sempre più estremiste. 

I religiosi, seppure con sfumature differenti, vorrebbero lo stato ebraico sottomesso alla Torah, ricostruire il terzo tempio e non concedere terra agli arabi; sono più del 20% della popolazione e contano 30 seggi su 120 alla Knesset. È una tragedia!

La gente di Nahal Oz e dei kibbutz di confine crede nella non violenza, in una soluzione non violenta del conflitto e chiede al governo di tentare di cambiare in modo pacifico questa orribile situazione di scontri continui. Fuori dai kibbutz, invece, nelle cittadine come Sderot ad esempio gran parte delle persone non crede nella possibilità di un accordo, pensano che non ci si possa fidare degli arabi e che si debba usare la forza. Ero entrato in un movimento nato nel 2014 subito dopo l’operazione “Protective Edge”, la guerra con Gaza. Lo avevamo chiamato: Movimento per il futuro del Negev occidentale, ma si è dissolto, perché era costituito da persone di destra e di sinistra e abbiamo subito iniziato a litigare sulle possibili soluzioni.

La destra non crede nella non violenza. Ho discusso una volta con una donna di destra, io proponevo di sederci e parlare con gli arabi, lei diceva che bisognava prima conquistare Gaza e solo dopo ci saremmo seduti per parlare. Io le dicevo: ma quanti soldati ci costerebbe? Quanti civili, quanti bambini morirebbero? La gente desidera molto la pace, purtroppo c’è disaccordo sul modo di raggiungerla.  

Gli esperti parlano di una nuova probabile intifada, ma la popolazione palestinese è stanca e non partecipa. Tutti hanno visto che le intifade del passato hanno portato al popolo soltanto inutili sofferenze. Chi aggredisce gli ebrei sono solo ragazzi estremisti influenzati dai media palestinesi e dai religiosi delle moschee che li spingono al terrorismo. L’Iran, Fatah, Hamas e il Jihad Islamico non rinunciano alla parola d’ordine di distruggere Israele e spingono i giovani alla violenza e i giovani sanno di andare alla morte ma accettano perché la considerano una missione eroica. Sono ragazzi, ancora molto influenzabili, e vengono usati da dirigenti criminali. 

                                         

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