di Victoria Geraut, Parigi

Un secondo turno delle presidenziali senza l’estrema destra, ci avevamo creduto fino alla fine! Come nel 2017, le elezioni presidenziali francesi hanno riunito tre candidati principali: Emmanuel Macron, il presidente in carica e candidato de La République en Marche (che, sebbene si dichiari centrista, secondo me rappresenta la destra liberale), Marine Le Pen, la candidata del partito di estrema destra Ressemblement national, e Jean-Luc Mélenchon, il candidato di estrema sinistra di France Insoumise. Già nel 2017 questi tre candidati avevano avuto i maggiori consensi tra gli elettori francesi: Jean-Luc Mélenchon si era affermato come il leader della sinistra piazzandosi al quarto posto (19,58%) mentre Marine Le Pen ed Emmanuel Macron si erano trovati faccia a faccia durante il secondo turno delle elezioni. Questa volta il margine è stato più stretto e molti hanno creduto e sperato che il secondo round potesse ancora sfuggire all’estrema destra. Infatti, grazie a un invito al voto utile che ha incoraggiato gli elettori di sinistra a votare per Jean-Luc Mélenchon, il leader di France Insoumise è riuscito a ottenere il 21,95%, piazzandosi dietro a Marine Le Pen (23,15%) per poche centinaia di migliaia di voti. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo suscitato da Jean-Luc Mélenchon – che è stato anche fortemente criticato per il suo programma sfavorevole all’Europa, per le sue posizioni compiacenti con Russia e Cina e per i suoi commenti antisemiti – alla fine abbiamo assistito alla partita di ritorno tra Macron e Le Pen, vinta da Macron con il 58,55% dei voti.

Queste elezioni sono state epocali per molti aspetti e rimarranno sicuramente nella nostra memoria per molto tempo.

In primo luogo, si iscrivono in un contesto segnato dalla guerra in Europa. Emmanuel Macron, presidente di turno del consiglio dell’Unione Europea, come tutti gli altri capi di Stato europei, ha dovuto adattarsi a un contesto di guerra tra Ucraina e Russia, mentre non siamo ancora usciti dalla crisi sanitaria causata dal covid 19. Questo particolare contesto ha avuto l’effetto di mettere la campagna al secondo posto nella cronaca. Inoltre, questo periodo di turbolenza è servito da pretesto a Emmanuel Macron per non fare campagna elettorale: né viaggi in giro per la Francia né partecipazione al dibattito tra i candidati del primo turno. La guerra in Ucraina ha anche influenzato i dibattiti sulle relazioni internazionali ed europee della Francia: dovrebbe lasciare la NATO? E l’Unione Europea? Quali alleanze stringere e quali relazioni avere con la Russia? La Francia dovrebbe interferire nelle relazioni estere di alcuni paesi? Sono tutti problemi che hanno governato i dibattiti prima del primo turno, contrapponendo europeisti convinti come Emmanuel Macron e i candidati di sinistra Anne Hidalgo (Partito socialista), Yannick Jadot (Europe Écologie les Verts) a euroscettici come Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen, i cui rapporti con la Russia non sono chiari, poiché il primo si è espresso contro l’ingerenza della Francia nella guerra, mentre la seconda è nota per i suoi tentativi di dialogo e cooperazione con Vladimir Putin (e per i prestiti finanziari contratti in Russia).

In secondo luogo, queste elezioni non solo hanno mostrato i limiti del sistema a doppio turno francese come avevano fatto le elezioni precedenti, ma questa volta hanno fatto esplodere il sistema stesso. Infatti, dall’inizio della Quinta Repubblica, istituita dal generale de Gaulle nel 1958, il sistema politico francese si è basato su due partiti maggioritari: il Partito Socialista a sinistra e il Partito Repubblicano a destra (ex RPR poi UMP). Nel 2017, quando uscivamo da un mandato di 5 anni presieduto da un presidente socialista (François Hollande), le elezioni avevano già minato questo sistema poiché il candidato socialista Benoît Hamon aveva raccolto solo il 6,36% dei voti. Ma il candidato repubblicano François Fillon era comunque riuscito a piazzarsi al terzo posto con il 20% dei voti. Quest’anno, e per la prima volta dalla loro esistenza, questi due partiti hanno ottenuto meno del 5% dei voti, non potendo ricevere il rimborso delle spese elettorali. Valérie Pécresse, la candidata repubblicana e attuale presidente della regione Île-de-France, ha ottenuto solo il 4,78% dei voti mentre la sua concorrente socialista e sindaco di Parigi Anne Hidalgo ha ottenuto solo l’1,75. Questi risultati storici sono la dimostrazione della fine di un sistema che dovrà sicuramente essere rinnovato se vuole riportare al centro del potere i partiti tradizionali più centristi.

Terzo punto, se l’estrema destra non ha vinto il secondo turno delle elezioni, ha comunque guadagnato influenza e posto nello spazio pubblico. Sicuramente è stata battuta ma ha comunque ottenuto un risultato che non aveva mai avuto prima dato che Marine Le Pen è riuscita a guadagnare 8 punti percentuali in 5 anni. È riuscita soprattutto a imporre nel dibattito pubblico i suoi temi preferiti: immigrazione, sicurezza, Islam. Perché se la candidata è riuscita ad ammorbidire la sua immagine, a rendersi più accettabile alla popolazione e a far dimenticare la sua eredità (il suo partito, Ressemblement National, è stato comunque creato da ex membri delle Waffen-SS e dal piccolo gruppo fascista Ordre Nouveau), non l’ha fatto rinnovando le sue idee. Ad esempio, aveva in programma di approvare una legge che proibisse il velo – e non altri simboli religiosi come la kippà – con il pretesto che il velo sarebbe la traduzione di una “ideologia totalitaria”. Ha anche previsto di modificare la nostra Costituzione per scavalcare i deputati eletti democraticamente, così come ha pianificato di ridurre i poteri del Consiglio costituzionale francese, che rappresentano veri e propri controlli ed equilibri per il governo. Infine, la candidata Le Pen nel campo della giustizia ha cercato di riaprire il dibattito sulla pena di morte, mentre nel campo della libertà di espressione voleva abolire le sovvenzioni pubbliche e quindi privatizzare la radiodiffusione pubblica minando l’indipendenza dei media francesi.

Infine, se Marine Le Pen resta in testa al corteo dell’estrema destra, in queste elezioni abbiamo assistito anche all’emergere di un altrettanto pericoloso candidato di estrema destra: Eric Zemmour. Eric Zemmour era in origine un giornalista-polemista-romanziere al quale dobbiamo molte controversie razziste o antifemministe. È stato anche condannato nel gennaio 2022 per “istigazione all’odio” a seguito di affermazioni sui minori non accompagnati in Francia. Sostenuto da parte dei media appartenenti alla holding Bolloré, è stato senza dubbio la personalità politica più visibile, consentendo al discorso di estrema destra di imporsi nello spazio pubblico. E, ciliegina sulla torta, questo candidato al contrario degli altri è ebreo! É riuscito anche ad attirare parte dell’elettorato ebraico nonostante avesse tenuto discorsi molto violenti contro gli ebrei quando ha accusato la famiglia Sandler di non essere “buoni francesi” e quando ha cercato di riabilitare la memoria del maresciallo Pétain. Ha affermato che Pétain aveva cercato di salvare gli ebrei francesi anche se è a causa di Pétain che i primi rastrellamenti di bambini ebrei furono resi possibili in Francia. Se l’attenzione per Zemmour è stata molto più grande nei media che nelle urne (ha ottenuto solo il 7% dei voti), è comunque riuscito a rendere accettabili dai francesi le sue affermazioni reazionarie.

In conclusione, queste elezioni non sono state facili. Anzi, in questi ultimi mesi, si è dovuto anzitutto accettare l’idea che Emmanuel Macron – che è lo stesso il Presidente che è stato la causa dei Gilet Gialli o che ha consentito ad un uomo accusato di molestie sessuali e di stupro di accedere al Ministero dell’Interno – poteva candidarsi per un secondo mandato. Poi, la crescente influenza di Marine Le Pen ed Éric Zemmour ha reso molto difficile ascoltare il discorso su tutte le minoranze di genere, etniche e religiose. Accusate di essere a volte “islamo-sinistra”, a volte “woke”[1], le attiviste antirazziste, femministe e ambientaliste sono state oggetto di numerosi attacchi, al di là della solita semplice squalifica che dobbiamo affrontare. Questo ci ha costretto a essere ancora più vigili riguardo al discorso di estrema destra sempre più dominante. Infine, anche se il voto a Mélenchon può essere stato seducente per (finalmente!) bloccare l’estrema destra e riportare al centro del dibattito questioni relative al servizio pubblico, ai precari o addirittura al potere d’acquisto dei salari, è stato difficile dimenticare i tanti eccessi antisemiti del leader di France Insoumise, secondo il quale Zemmour non può essere antisemita perché è portatore di valori propri dell’ebraismo, o che afferma di sostenere i musulmani contro il nemico, “il finanziere”.

Fortunatamente per noi le elezioni sono finalmente finite e siamo riusciti ad evitare il peggio! Rimane però una nuova sfida, che alcuni chiamano addirittura “il terzo turno” che riguarda l’elezione dei nostri deputati. Queste elezioni, del prossimo giugno, ci permetteranno di vedere se i cittadini francesi avranno nuovamente fiducia nei loro rappresentanti della Repubblica o, come molti auspicano, se riusciranno a costringere il presidente Macron a convivere con una nuova maggioranza.

(traduzione di Beatrice Hirsch)

 

[1] Woke è un termine usato per indicare l’atteggiamento di ipersensibilità nei confronti di ingiustizie sociali contro minoranze. Nella destra anglosassone è usato con accezione dispregiativa per indicare un dogmatismo intollerante di persone che censurano qualunque espressione non ipervigile/critica nei confronti delle ingiustizie sociali. 


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