di Beatrice Hirsch

Dopo quasi quattro mesi di Erasmus in Romania, posso dire che questo paese è quello che in Europa mi ha fatto sentire di più al centro della storia del popolo ebraico. In ogni paesino che abbia visitato trovo un pezzo del puzzle della nostra storia. Da una parte come scrive mio papà si sente la forza della rinascita, dall’altra l’oscurità della morte. Da quando sono qui ho visto più di dieci sinagoghe diverse, nei posti più sperduti, e dove mai mi sarei immaginata di trovarle. Quasi tutte quelle ancora in piedi e visitabili sono state trasformate in musei o riadibite a centri culturali e spazi espositivi, tra queste quella che mi ha colpito di più è la Sinagoga Sion di Oradea, la terza più grande d’Europa, costruita nel 1878 per la comunità riformata, che prese le distanze da quella ortodossa; all’interno  sull’aron infatti, si nota un grande organo e manca la classica bimà centrale. Questa sinagoga presenta un ampio piano terra a tre navate e due piani di matronei, potendo così ospitare fino a mille fedeli. Oradea è una città quasi al confine con l’Ungheria, ed è quella che mi ha fatto rivivere più emozioni. Degli ebrei qui erano già presenti dal 1400, ma la comunità iniziò a crescere dal 1700: nel 1760 contava circa venti famiglie e il primo rabbino portava il mio stesso cognome: Naftali Hirsch Cvi Lipchowitz. La  popolazione ebraica ha continuato a crescere e agli inizi del ‘900 ospitava una delle comunità ebraiche più grandi e attive d’Europa. Come ho potuto scoprire nel museo di storia ebraica, allestito nel 2018 nella Sinagoga ortodossa del 1926, i nostri correligionari nel XIX secolo costituivano circa un terzo della popolazione. La storia di questa comunità mi ricorda molto quella di Torino. Infatti grazie all’acquisizione di molti diritti già del 1781 e all’emancipazione del 1867, gli ebrei di questa città  erano saliti di livello sociale grazie a professioni di prestigio, come quella di avvocato, medico, o proprietario di case editrici. Un buon numero di famiglie ebree molto benestanti contribuirono fortemente alla crescita economica della città. Camminando per il centro si possono ammirare meravigliosi palazzi, quasi tutti commissionati da famiglie ebraiche o progettati da architetti ebrei come Rimanóczy Kálmán Jr.: il neoclassico Palazzo Sonnenfeld, il mattonato Palazzo Guttman, l’elegante Palazzo Stern, l’azzurro  Palazzo Moskovits.. Membri della comunità ebraica fondarono anche il primo ospedale moderno della città (tuttora Ospedale di Ginecologia e Ostetricia), la prima fabbrica di scarpe e contribuirono alla posa della prima rete telefonica. Nella città erano presenti più di venti sinagoghe, di cui ora solo tre sono ancora visitabili e solo una è attiva per le funzioni della Comunità ebraica attuale che conta circa trecento membri. Il picco più alto di membri si registrò nel 1944 quando venne istituito il ghetto, nel quale vennero costretti circa 25000 ebrei, successivamente deportati in buona parte ad Auschwitz. Un fatto particolare fu che nel ghetto era presente uno dei pochi ospedali di malattie infettive nel quale venivano  ricoverati molti pazienti affetti da tifo, numerosi in quel periodo. Alcuni medici riuscirono a produrre dei certificati di laboratorio falsi che dichiarassero più ebrei affetti del reale e riuscirono anche a nasconderne alcuni nell’ospedale stesso, dato che per paura di contagiarsi teneva lontani i soldati. Aumentando il numero di affetti sulla carta, i medici speravano di far ritenere l’intero ghetto una zona di quarantena, rimandando o impedendo le deportazioni; la tecnica riuscì sicuramente a salvare alcune famiglie, ma non ebbe l’effetto desiderato.

Per concludere, Oradea non è stata solo centro dell’ebraismo europeo ortodosso e riformato, ma anche del Sionismo. Dopo la Prima guerra mondiale, con l’arrivo di una grande ondata di chassidim e con l’aumento vertiginoso degli episodi di antisemitismo, nel 1918 Salamon Fuchs  lanciò a Oradea il primo Movimento Sionista. Negli  anni successivi la  città ospitò il quartier generale della Mizrachi World Organization (leader del Sionismo religioso ancora oggi). Dopo la seconda guerra mondiale la vita per la piccola comunità superstite non si fece più semplice: sotto il regime comunista il sionismo non era tollerato e molti leader vennero messi in prigione.  Negli anni ’50 grazie  ad accordi bilaterali molti ebrei poterono emigrare, in cambio di supporto da parte di Israele nell’industria del petrolio e  nell’agricoltura romena. Negli anni successivi il dittatore rumeno Ceausescu iniziò a permettere l’emigrazione degli ebrei in Israele in cambio di denaro.

C’è una sensazione strana che mi segue da quando sono arrivata in questo paese:  sento forte la presenza della cultura ebraica e a volte guardandomi intorno mi sembra quasi di essere in Israele, a Tel Aviv magari, in mezzo agli edifici a pochi piani, bianchi e sgretolati con i cavi neri che escono alla rinfusa, oppure tra i bellissimi edifici stuccati color pastello. Forse la somiglianza la rivedo semplicemente perché in Romania, come anche in Israele, c’è una mescolanza di influenze diverse provenienti da tutta Europa, che si sono succedute e sovrapposte nei secoli, oppure è qualcosa di più profondo? Tanti dettagli che ho sempre creduto intrinsechi della cultura ebraica, oggi mi si dimostrano sicuramente fortemente influenzati dalle usanze e dai costumi locali di queste terre dell’europa dell’est. Sono gli ebrei che hanno portato quelle tradizioni qui o sono le tradizioni di questo posto ad essere state integrate nella nostra cultura? Sono più che certa che si tratti della seconda. In centro a volte vedo famiglie che a prima vista scambio per ebrei ortodossi, apparentemente potrebbero esserlo: tanti figli, mogli con la gonna lunga e capo coperto, mariti vestiti eleganti, ma con un dettaglio importante: niente kippà, né cappello (unico dettaglio che mi permette di pensare ad una loro più probabile appartenenza al cristianesimo ortodosso o anabattista o evangelico particolarmente diffusi in Romania). Anche le famiglie Rom, molto presenti in queste terre, mi ricordano a volte gli ebrei ortodossi, in questo caso infatti i maschi di tutte le età portano dei grossi cappelli di feltro neri. Anche i prodotti al supermercato mi ricordano Israele, la  halva è sempre presente ed è prodotta in uno stabilimento vicino a dove vivo io e il pastrami è un ingrediente che raramente manca. L’episodio che difficilmente dimenticherò è stato un matrimonio in cui mi sono imbattuta: una grande famiglia con bambini e amici in abiti tradizionali celebrava nella piazza principale della città seguita da una piccola band di tromba e violini (quasi klezmer).  Allegramente in cerchio cantavano e ballavano quella che mi ricordava proprio la familiare hora:  una  hora rumena. Facendo una veloce ricerca ho scoperto infatti che la  hora è proprio il termine usato per definire questo ballo folcloristico rumeno e moldavo:  in cerchio mano nella mano,  per celebrare i grandi eventi felici della vita.

 

Aron haKodesh della sinagoga di Herlau, Romania

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