di David C.Landau e Francesco Bassano
Il lato oscuro delle manifestazioni del 25 novembre
Negli ultimi due mesi lo sgomento provato all’indomani dell’eccidio del 7 ottobre commesso da Hamas si è rinnovato ogni qualvolta che il resoconto delle violenze si è arricchito di particolari. Già i primi video e le prime testimonianze hanno messo in luce le atrocità nei confronti di tutte le donne che hanno avuto la sfortuna di trovarsi nei kibbutzim israeliani al confine con Gaza o al festival musicale di Re’im. Gli uomini di Hamas hanno praticato stupri di gruppo, mutilato organi sessuali, infierito sui corpi senza vita delle donne per poi esibirli.
Nonostante le prove e le testimonianze raccolte fino ad ora, c’è chi ha preferito ignorare le atrocità del 7 ottobre per concentrarsi esclusivamente sull’impatto dei bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Un esempio tra i tanti: nel rapporto di UN Women, che menziona correttamente l’impatto della guerra sulle donne palestinesi nella Striscia, manca qualunque accenno in merito agli stupri di Hamas.
Ancora un altro esempio tra il farsesco e l’ignobile è stato quello del movimento Non Una di Meno il quale ha meritoriamente organizzato la manifestazione nazionale del 25 novembre in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. In Italia, l’appuntamento del 25 novembre è stato quest’anno particolarmente sentito sull’onda dell’ indignazione per l’assassino di Giulia Cecchettin. Fin qui tutto condivisibile. Il comunicato con il quale Non Una di Meno ha annunciato sul proprio sito la manifestazione tocca in un italiano claudicante temi importanti, coerenti con il tema della manifestazione – attacco alle famiglie omogenitoriali, le difficoltà di accesso all’aborto, e altre politiche deplorevoli del governo Meloni. Vista la predilezione per i dettami dell’intersezionalità, ci saremmo potuti aspettare che le organizzatrici ampliassero l’ambito dell’iniziativa ad orizzonti non solo italiani o ad altre discriminazioni. Sarebbe, per esempio, stato del tutto opportuno rammentare anche la violenza di stato perpetrata dal governo iraniano nei confronti delle donne di quel paese. Purtroppo Non Una Di Meno ha scelto di concludere il comunicato con una digressione assolutamente fuori luogo:
“In questo quadro, il governo partecipa in prima fila e finanzia l’escalation bellica, con la produzione e invio massiccio di armi, nonché tentativi di moltiplicare le basi militari. La guerra è la manifestazione più totalizzante della violenza patriarcale, per questo, e più che mai, siamo al fianco del popolo palestinese. Non ci sono margini di ambiguità in questa storia di colonialismo, razzismo e violenza, tesa a cancellare il territorio palestinese e, soprattutto, il suo popolo.”
Perché in occasione della giornata sulla violenza contro le donne, sottolineare soltanto l’oppressione del popolo palestinese senza dire una parola di solidarietà a proposito degli stupri di massa compiuti il 7 Ottobre sulle donne israeliane e non? Perché dimenticare che oltre agli stupri gli uomini di Hamas hanno fatto scempio sui corpi delle donne esibite poi davanti al ludibrio dei maschi presenti per le strade di Gaza?
Con questa mancata condanna Non Una di Meno ha dato il suo non piccolo contributo a sentimenti antisemiti negli ultimi mesi così presenti nel continente europeo, offrendo inoltre un pretesto alla destra che ha derubricato l’intero movimento come antisemita. Questo silenzio sugli stupri del 7 ottobre all’interno della manifestazione del 25 novembre e dei movimenti femministi è stato denunciato anche da collettivi di sinistra radicale come, per esempio, Connessioni Precarie o dal Laboratorio Ebraico Antirazzista. Sul quotidiano francese Liberation è poi uscito un appello, firmato da numerose personalità come Charlotte Gainsbourg, Anne Hidalgo e Marek Halter proprio per riconoscere come femminicidio di massa ciò che è avvenuto il 7 ottobre in Israele. Nello stesso è scritto: “Dobbiamo affrontare questo femminicidio di massa, senza collegarlo al conflitto israelo-palestinese. Sappiamo che è difficile. Ma dobbiamo farlo affinché le donne non siano più le prime vittime delle guerre e dei conflitti armati, e perché i loro volti non vengano mai dimenticati.”