di Tonino Nocera
Virginia Olper Monis nacque a Venezia il 21 gennaio 1856 da una famiglia ebraica benestante. Rimasta presto orfana di madre fu cresciuta dal padre Silvio: imprenditore e patriota risorgimentale.[1]
Il Vessillo Israelitico (VOLUME XLVI 1898 febbraio pag. 68) nell’annunciare la morte di Silvio Olper così scriveva “Uno dei veterani del 1848-1849, prese parte alle gloriose difese di Venezia e Vicenza” aggiungendo che al funerale parteciparono “i veterani del 48-49 con la bandiera sociale” e indicandolo come “padre della valente pubblicista e letterata Virginia Olper Monis che ebbe, come chi scrive, a professore il fu Alessandro Arbib di sempre cara memoria”.
In seguito, Virginia Olper Monis pubblicò – assieme al fratello Leone – In memoria di Silvio Olper poiché ”che gli uomini periscano è fatale, ma è giusto e naturale che essi sopravvivano nel campo del pensiero, quando seppero calcarlo…” Nell’opera, riporta uno scritto del padre sulla Libera Muratoria “ha per base l’adorazione del principio del bene, il culto della virtù, l’esercizio della beneficenza, l’associazione degli onesti, lo scoprimento del vero”. Dopo il matrimonio con Isidoro Monis, farmacista, Virginia visse a Sacile, Padova e San Giorgio al Tagliamento. La sua vita si svolse nel quadrilatero Venezia, Sacile, Padova, San Giorgio al Tagliamento. Avrebbe potuto condurre una tranquilla vita in provincia come moglie di un professionista. Scelse, invece, di impegnarsi per la difesa della donna: suo unico grande obiettivo.
Intrattenne rapporti epistolari con Teodoro Moneta, Premio Nobel per la Pace nel 1907, Sibilla Aleramo, Anna Franchi, Giacinta Pezzana.
I valori mazziniani e risorgimentali influenzarono la sua vita. Diritti e doveri; dignità della persona; cambiamento del singolo per cambiare la società. Questi i capisaldi del suo pensiero in un periodo storico in cui, come scrive Monica Miniati, “L’universo ebraico di fine Ottocento si trovava nella non facile condizione di doversi confrontare con un duplice processo evolutivo che gli richiedeva di ricomporre un equilibrio tra due dimensioni, quella ebraica e quella femminile, entrambe in una fase di grande cambiamento” All’epoca, l’analfabetismo era ancora diffuso in Italia: in misura maggiore tra le donne. Raro tra gli ebrei.
Con l’Unità d’Italia la situazione migliorò. Tra il 1871 e il 1911 il tasso di analfabetismo passò dal 70% al 38% e quello femminile dall’ 81% del 1861 al 62% del 1901.[2] Le donne ebree d’Italia, donne di una minoranza, erano in percentuale la maggioranza delle donne italiane capaci di leggere e scrivere. Il periodo più fecondo per la sua attività di scrittrice fu quello padovano: ventitré anni dal 1884 al 1907. Collaborò con giornali locali (Il Veneto e Il Comune) e nazionali (La Donna, Natura e Arte, Vita Italiana, Gazzetta Letteraria, La Tavola Rotonda, La Favilla). Scrisse il romanzo Il raggio; racconti La cieca, Derelitti, Gloria di Sole e Storia di una bimba (questi ultimi due per bambini). Pubblicò il volume Racconti veneziani e Novelle Sentimentali. Un suo racconto Miutte. Bozzetto friulano (Miutte: vezzeggiativo friulano di Maria) fu recensito da Il Vessillo Israelitico che lo definì “pieno di grazia e naturalezza”. Il ricavato andò in favore degli esposti. “Mente e cuore si danno la mano”
Mi soffermerò su due saggi: La Donna nella realtà e Il movimento etico-sociale e l’Unione Morale.
La Donna nella Realtà stampata a Padova nel 1908 dalla Premiata Società Cooperativa Tipografica costava 50 centesimi. Il ricavato era a beneficio dell’Istituto per l’Infanzia Abbandonata di Padova. L’incipit contiene un’espressione da sempre riguardante la donna: Angelo o demone! Prosegue con una citazione di Giuseppe Mazzini “La diresti un angelo che dall’abisso ove l’hanno travolto manda tuttora una voce di paradiso.”[3] Virginia Olper Monis scrive che è solo una creatura “semplicemente umana” consapevole di “ciò che essa vuole, non solo, ma anche di ciò che essa fa.” Conscia dei propri difetti “né pochi né tutti lievi; ma equivalgono ai differenti e non minori, difetti maschili”. Chiedendosi quale sia il posto della donna, rammenta un insulto rivolto spesso a un uomo ”Sei peggio di una donna”. Torna in mente Golda Meir la quale, citando la famosa espressione di David ben Gurion a lei riferita “è l’unico uomo del mio governo”, scriveva nella sua autobiografia che non è un complimento perché mentre per una donna essere ritenuta un uomo è o dovrebbe essere un elogio: non vale il contrario. Infatti, nessun uomo apprezzerebbe essere indicato come donna. Virginia Olper Monis continua evidenziando la scarsa considerazione delle donne da parte degli uomini. Accettata da quest’ultimi come un dato di fatto, un’oggettiva realtà naturale: “Che volete, che volete – dicono con allegra ironia – son fatte così!”. Indicando poi quello che per molti uomini è il reale ruolo della donna. Un gradevole ausilio nella vita quotidiana: ma nessuna stima e nessuna considerazione. Rievoca anche una “discussione vivace e cortese” con Neera (Anna Radius Zuccari). La quale aveva scritto “Credo anzi di essere molto pratica e molto attaccata alla verità scientifica affermando che ogni conquista fatta dalla donna nel campo dell’intelligenza è un furto all’uomo futuro e tutte le forze che la donna impiega in questo campo le sottrae alla maternità in un modo più o meno liscio, più o meno palese ma inevitabile”. La risposta della Olper Monis è netta: “Questa potrebbe parere infatti una ragione scientifica se non fosse contraddetta dai fatti: e Neera per prima ne è un esempio vivente, lei che impiegò il suo ingegno e gran tempo a scrivere romanzi di valore, e non fu meno perciò buona madre al figlio suo per il quale scrisse un libro di morale, intitolato, appunto, Il libro di mio figlio”.
Virginia Olper Monis reclama anche il diritto di voto per le donne. L’obiettivo è “che ciascuno, uomo o donna, possa esplicare liberamente, interamente le facoltà di cui è dotato.” Tra l’altro, con un articolo firmato con lo pseudonimo di Perla pubblicato da “La Libertà. Giornale della democrazia” dà notizia della creazione di un comitato dell’iniziativa pro-suffragio dell’Unione Femminile. Ma le sue richieste non si fermano qua: “La colpa di adulterio si deve riconoscere pari nel marito e nella moglie”-” E il divorzio finalmente venga ammesso”. Sul divorzio in un articolo aveva narrato la propria esperienza di ebrea veneziana quando Venezia “era ancora sotto il giogo austriaco” e “il divorzio era ammesso fra gli israeliti” e “Or bene, mai si videro derivarne danni alla pubblica morale, né alla privata, né ai privati interessi”.[4] Chiede l’abolizione della prostituzione regolamentata e pari retribuzione per uomini e donne. Non reclama solo diritti: perché “Se rivendichiamo per la donna alcuni diritti, è perché la crediamo pronta a sostenere i nuovi doveri che la società impone”[5]
Ne Il Movimento Etico-Sociale e l’”Unione Morale” (pubblicato in due parti su L’Italia Femminile) Virginia Olper Monis scrive: “E nella natura umana un bisogno insito nelle sue facoltà elevate, originale dalla sua stessa perfettibilità: è l’impulso che spinge avanti, in alto, senza posa.” È un anelito che non può esser illuso dalla fede religioso o quietato dalle conquiste della scienza. Perché entrambe non consentono di raggiungere il vero obiettivo dell’uomo: “il progresso morale dell’umanità”. Perché l’Unione Morale scrive ancora, “è la religione del bene, la quale vuol raccogliere sotto la sua bandiera tutte le persone di buona volontà; a qualunque classe, partito e confessione appartengano.” Aggiungendo “L’obiettivo della religione è ultra-umano; lo scopo e l’essenza del movimento etico sono umani; da ciò non risulta verun antagonismo.” Ma quali sono i cardini dell’Unione Morale? Amore e fratellanza. Da porre in essere con un metodo: “Miglioriamo noi stessi per poter migliorare gli altri!” Virginia Olper Monis è consapevole che sono valori borghesi: di quella borghesia “che si vuol tutta confondere sotto gli stessi epiteti spregiativi di grassa ed egoista”. Prosegue poi con la storia della prima società morale nata negli Stati Uniti d’America nel 1876. Durante una conferenza, il responsabile della società di Filadelfia pose una domanda “E che cosa faccio io per preparare l’avvento di un miglior ordine di cose?” Un’assunzione di responsabilità del singolo nei confronti della società, degli altri cittadini e della Patria: nel solco sia del give-back anglosassone sia della responsabilità di ciascun ebreo verso gli altri ebrei. Le Società Morali si diffusero in Europa. L’obiettivo primario era l’istruzione: istituendo sale di letture popolari e tenendo conferenze. Perché come disse il prof. Paul Desjardins in una conferenza a Roma: “Concluderemo che il primo lavoro, ed in fondo il più pratico, è quello di formare l’uomo”. In Italia il primo Circolo fu fondato a Venezia nel marzo del 1894. Tra i primi risultati: la creazione di una Scuola Libera Popolare. L’anno successivo un circolo fratello sorse a Padova. Emerge un anelito alla costruzione di un mondo migliore. Tutti sono coinvolti con ruoli distinti: ma con un medesimo obiettivo. Il metodo è l’educazione che “deve cominciare da noi stessi”. Lo sforzo di migliorare i singoli si riverbererà sul mondo perché “chi si assomiglia si unisce e l’Unione (in maiuscolo nel testo) fa la forza.” Ma “in questo caso la forza non consiste solo nel potere della solidarietà, ma ben anco nella facilità di combattere in noi stessi le male passioni”. È presente un’etica della responsabilità: perché per Virginia Olper Monis, con maggiore sapienza e quindi maggiore coscienza si è maggiormente colpevoli in caso di disimpegno.
Veniamo ora a Giuseppe Mazzini e al suo forte legame con gli ebrei italiani: come i fatti manifestamente attestano. Giuseppe Mazzini illustra il proprio pensiero in Dei Doveri dell’Uomo. Due aspetti del pensiero mazziniano colpiscono in relazione all’opera di Virginia Olper Monis: educazione e ruolo delle donne. I lunghi anni di esilio a Londra furono fondamentali per le sue riflessioni sul ruolo della donna e per il suo impegno per la loro emancipazione. Dedica un capitolo all’ Educazione perché gli uomini sono stati creati educabili ossia sono creature d’educazione e operano secondo il principio di educazione dato loro. EDUCAZIONE, abbiamo detto ed è la gran parola che racchiude tutta quanta la nostra dottrina … Il DOVERE … di rendere migliori se stessi e gli altri migliori. Senza istruzione voi non potete scegliere giustamente tra il bene il male; non potete acquistar coscienza dei vostri diritti. Precisando: l’istruzione somministra mezzi per praticare ciò che l’educazione insegna. L’educazione si indirizza alle facoltà morali; l’istruzione alle intellettuali. L’educazione è sempre presente nel libro. Come dovere verso Dio, verso l’umanità, verso la Patria. Della donna parla nel capitolo Doveri verso la Famiglia: da lui definita la patria del core. Scrive Famiglia e Patria sono i due punti estremi di una sola linea. La Donna è la carezza della vita, è la soavità dell’affetto diffusa sulle sue fatiche, un riflesso sull’individuo della Provvidenza amorevole che veglia sull’Umanità. Il suo pensiero sulla donna è chiaro e preciso: senza esitazione. Amate, rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio ha creato con una educazione disuguale e una perenne oppressione di leggi, quell’apparente inferiorità intellettuale dalla quale oggi argomentano per mantenere l’oppressione. Educazione diseguale; educazione diseducativa. Ulteriore conferma del fondamentale ruolo dell’educazione nel pensiero mazziniano e negli scritti di Virginia Olper Monis. Mazzini prosegue con determinazione per ribadire, ricorrendo a tutti gli esempi possibili, l’uguaglianza delle donne con gli uomini. Davanti a Dio uno e padre non v’è uomo né donna… La donna e l’uomo sono le due note senza le quali l’accordo umano non è possibile. La frase conclusiva del libro suggella il pensiero mazziniano sulla donna. L’emancipazione della donna dovrebbe essere continuamente accoppiata per voi all’emancipazione dell’operaio e darà al vostro lavoro la consacrazione d’una verità universale. Tutto ciò costituì il retroterra di Virginia Olper Monis, da cui trasse ispirazione per la propria visione del mondo. Virginia Olper Monis nel 1907 si trasferì con il marito a San Giorgio al Tagliamento dove condusse una vita ritirata senza più scrivere. Morì a Venezia il 13 settembre 1919. L’epitaffio sulla sua tomba al Cimitero Ebraico della città lagunare recita: “Auspicò al bello, al buono, al vero, perciò nella vita stimata, nella tomba compianta”.
[1]Di Virginia Olper Monis esiste solo una biografia scritta da Fiorenza Chiarot: Una donna senza festa. Vita e scritti di Virginia Olper Monis. Nuova Dimensione. Portogruaro 2002.
[2]Alessia Lirosi Liberi di sapere. Il diritto delle donne all’istruzione dal Cinquecento al mondo contemporaneo. Edizioni di Storia e Letteratura
[3] La Donna nella Realtà
[4] Liviana Gazzetta, Orizzonti nuovi. Storia del primo femminismo in Italia (1865-1925) Viella
[5] La Donna nella Realtà