di Alessandro Treves
Ma Avraham Avinu era davvero arrivato a Hebron da Ur “dei Caldei”, cioè dalla terra dei Sumeri? Ed era nato – come Avram – proprio a Ur, o non piuttosto a Harran, come sostiene il Ramban? E in ogni caso, cosa aveva spinto Terah suo padre a lasciare Ur per spostarsi a Ovest, e poi fermarsi (o ritornare, secondo Ramban) a metà strada, a Harran? Un suo Lech-lechà genitoriale, a chilometraggio più limitato? Harran era a quel tempo un importante snodo di traffici, sede di un tempio dedicato a Sin/Nanna, la divinità mesopotamica associata alla luna; in seguito, città fra le maggiori dell’impero assiro e, brevemente, sua capitale nell’ultimo periodo, alla fine del settimo secolo a.E.V. (e poi anche teatro della disastrosa sconfitta delle legioni romane in quella che abbiamo studiato come la battaglia di Carre, con grafia romanizzata). Perché allora contrapporre la misera Hebron, dove Avraham fece a un prezzo esagerato il primo investimento immobiliare in terra di Canaan, alla lontana Ur e non direttamente ad Harran? Del resto, alcuni studiosi pongono la codifica della tradizione israelitica di Avraham, distinta e poi integrata con quella di Mosè, nel periodo successivo alla deportazione a Babilonia, quando la fama di Harran doveva essere ben viva e conosciuta. Perché trattare Harran alla stregua di una mera tappa del viaggio, occasione di un passaggio delle consegne alquanto misterioso fra padre e figlio? Oltretutto, se Avraham lascia Harran quando Terah è ancora in vita, è chiaro che lo stacco anche concettuale dovrebbe essere da Harran, non da Ur.
Una questione irrisolta su cui apre una prospettiva interessante il saggio del 1990[1] dell’archeologo Giorgio Buccellati, sulla fine della koinè siro-mesopotamica. In sostanza, Buccellati argomenta come a metà del secondo millennio a.E.V. l’area dell’alto Eufrate, coincidente grosso modo col Nord-Est dell’odierna Siria, che era stata sino ad allora in una certa misura partecipe dell’universo culturale mesopotamico di matrice sumero-accadica, con la sua civiltà urbana, i suoi templi e i suoi scribi, ne rimanga poi tagliata fuori. Emergono due entità statali, nell’alta Mesopotamia (l’Assiria) e nella bassa (Babilonia), e le popolazioni semitiche dell’Ovest, che si erano solo parzialmente urbanizzate, “regrediscono” verso una condizione pastorale e tribale. La città di Terqa (di cui Buccellati ha guidato gli scavi) gradualmente si svuota, senza che altre ne prendano veramente il ruolo di centro del regno di Khana, che era fiorito nei due secoli precedenti e la cui struttura amministrativa pare ora dissolversi. I Khanei scompaiono fra le popolazioni amorree che, tornate nomadi, si sparpagliano nei deserti della Siria per poi scendere, in parte, verso il levante meridionale, la mèta del Lech-lechà di Abramo. Nei contatti diplomatici, anche fra assiri e babilonesi, si parla di come confrontarsi con una classe di “apolidi”, gli ‘apirû, non agganciati ad alcuna entità urbana o statale e quindi potenzialmente pericolosi: dei senza fissa dimora di cui magari valersi come mercenari, ma da tenere a bada, sospingendoli ai margini, verso Ovest. Possiamo quindi intravedere, seguendo il ragionamento di Buccellati, una distinzione qualitativa fra il distacco di Terah da Ur, che si configura come emarginazione percepita dalla società mesopotamica, rappresentata da Ur, e il distacco di Avram da Harran, genuina migrazione intrapresa dal luogo d’origine della famiglia, cui infatti fa ritorno Giacobbe per cercarvi moglie.
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Se Hebron è il punto d’arrivo di Avraham Avinu, un’altra Hebron è il punto di partenza della tristissima migrazione di un altro Abraham, meno conosciuto. Abraham Ulrikab, cioè Abraham marito di Ulrike, era un Inuit convertito al cristianesimo dai missionari della chiesa morava dell’insediamento di Hebron, il più a Nord del Labrador. Suonava il violino, era molto religioso e teneva un diario. Nel 1880 accettò la proposta di un faccendiere norvegese di partire con la moglie e le due figliolette piccole, insieme ad altri 4 Inuit, per essere esibiti come attrazioni esotiche in giro per l’Europa. Era angosciato dai debiti che aveva dovuto contrarre con i missionari di Hebron e sperava, accettando la proposta, di guadagnare abbastanza da poterli ripagare. Arrivati ad Amburgo il 24 settembre, vennero esibiti allo zoo, poi a quello di Berlino, a Praga, Francoforte e Darmstadt. Qui morì la prima del gruppo, una ragazza quindicenne e poi, in rapida successione, tutti gli altri – ultima, a Parigi, Ulrike il 16 gennaio 1881. Avevano contratto all’arrivo in Europa il vaiolo; il faccendiere ammise poi di aver dimenticato di vaccinarli.
Il diario, tenuto da Abraham nella sua lingua, l’inuktitut, venne rispedito ai parenti in Labrador. Un missionario, che aveva cercato inutilmente di dissuadere il gruppo dal partire, lo tradusse in tedesco, dopodiché l’originale andò perduto, e le traduzioni, che la chiesa morava aveva fatto anche in francese ed inglese, vennero dimenticate. Sono state ritrovate da un etnologo canadese nel 1980, un secolo esatto dopo il viaggio fatale. Abraham si era reso conto dello sbaglio fatto, di cui si sentiva responsabile verso la sua famigliola e gli altri del gruppo. In anni recenti, i loro resti sono stati individuati, sparsi per l’Europa, e le autorità della regione autonoma Inuit di Nunatsiavut si stanno adoperando per il loro rimpatrio (non più a Hebron – l’insediamento è stato definitivamente abbandonato nel 1959).
Fu un Lech-lechà dell’estremo Nord, udito da un uomo dall’animo candido come le nevi del Labrador, che mai avrebbe cercato di far passare Ulrike come propria sorella; un altro Lech-lechà frutto dell’emarginazione e, diremmo, tragicamente frainteso. Guardare “Trapped in a Human Zoo – Abraham’s Mistake”[2] potrebbe offrire spunti di riflessione anche ai discendenti del più astuto Abramo mediorientale.
[1] Giorgio Buccellati (1990) “From Khana to Laqê: the end of Syro-Mesopotamia,” in De la Babylonie à la Syrie, en passant par Mari, Ö. Tunca (ed.), Liège: 229-253.
[2] trasmesso dalla radio canadese l’11 febbraio 2016, vedi la pagina web https://www.cbc.ca/radio/thecurrent/the-current-for-february-11-2016-1.3443448/shocking-history-of-inuit-trapped-in-human-zoos-revealed-in-documentary-1.3443510
Trieste e Tel Aviv