di Rimmon Lavi

Il ministro israeliano dei rapporti con la diaspora, Amihai Shikly, ha organizzato alla fine di marzo un convegno internazionale per la lotta contro l’antisemitismo. Più che con la diaspora ebraica, pare che lui promuova rapporti diretti coi partiti europei d’estrema destra, per la loro posizione attualmente filoisraeliana, antimusulmana e antiaraba. Infatti, ha invitato al convegno rappresentanti centrali di questi partiti, noti per le loro radici fasciste o persino naziste, al punto che molte organizzazioni dell’ebraismo mondiale hanno preferito boicottare il convegno. I legami diretti dei partiti di destra in Israele, e negli ultimi tempi anche del governo israeliano, con le destre europee populiste, con radici antisemite, razziste e antidemocratiche, mettono in difficoltà le comunità ebraiche, che tradizionalmente sostengono posizioni liberali e moderate, malgrado la deriva verso il centro e persino la destra tra molti ebrei: dovuta anche alle posizioni anti-israeliane della sinistra, accompagnate persino da antisemitismo latente, rinforzate sempre più dalla politica del governo d’estrema destra in Israele.  Le organizzazioni ebraiche, infatti, sospettano che queste forze populiste sfruttino l’appoggio a Israele (dovuto infatti alle loro posizioni razziste contro l’emigrazione, che è soprattutto islamica) per essere assolti da accuse di antisemitismo.

Non possiamo non essere che terrificati, anche noi in Israele, dall’ondata attuale di rinnovato antisemitismo, sotto la bandiera ProPal, che dà indiretta legittimazione all’odio sanguinoso dei fanatici islamisti e cancella il ricordo del pogrom spaventoso del Hamas il 7 ottobre 2023 intorno alla striscia di Gaza. Ma in Israele siamo meno direttamente colpiti da questa ondata, essendo lontani e ancora sotto il trauma dell’attacco, della guerra e degli ostaggi ancora non liberati.  Del resto, Israele, da molto tempo, ma specialmente con Netanyahu, ha sfruttato troppo il ricordo della Shoà per delegittimare qualunque critica, accusando d’antisemitismo persino amici d’Israele e organi internazionali, come i tribunali dell’Aia, che sono stati creati proprio in seguito alla tragedia degli ebrei e agli eccidi della Seconda guerra mondiale.

Molti in Israele (purtroppo non abbastanza) criticano la realpolitik israeliana, che ha sostenuto legami con regimi totalitari e dispotici, persino con smercio di armi: così pure siamo convinti che noi ebrei dobbiamo ricordarci che solo la democrazia liberale e la lotta contro ogni forma di razzismo, di discriminazione e di suprematismo, possono assicurare a lungo la vita stessa, la libertà e il benessere delle minoranze etniche o religiose, incluse la nostra. Ma purtroppo come possiamo, noi israeliani, criticare le posizioni etnocentriche e suprematiste delle forze populiste crescenti di nuovo in Europa? Infatti, il nostro governo, espressione di una coalizione tra l’estrema destra e gli ortodossi, emette e applica decreti, leggi e provvedimenti ancora più discriminatori di quelli proposti dalle destre europee. Da noi gli immigrati non ebrei e i cittadini arabi sono discriminati in più campi dei diritti sociali, senza parlare di quanto succede in Cisgiordania, dove si deve, ormai, definirne la situazione come apartheid.

In un precedente articolo, prima della tragedia terribile del 7 ottobre 2023, della vendetta spaventosa su Gaza e dell’ondata propal nell’Occidente, avevo proposto all’ebraismo della diaspora di ridurre l’identificazione automatica tra ebreo e Israele: si può dare legittimazione alla critica sulla politica del governo israeliano, senza per questo dover rinunciare ai legami religiosi, culturali, familiari e emotivi con Israele. Certo, come non credo che l’ebraismo debba prendere posizione unitaria automatica a favore d’Israele, così pure non mi aspetto unanimità critica automatica, del tipo di parte della sinistra attuale, che porta alla delegittimazione dell’esistenza stessa dello Stato d’Israele.  Di fronte alla politica d’Israele, come di fronte alla politica dei paesi in cui vivono gli ebrei, non ci dovrebbe essere unanimità tra di loro, perché ebrei, come, per fortuna, non c’è all’interno d’Israele. Quello che invece ci si dovrebbe aspettare, data la storia millenaria di discriminazione del popolo nostro, sarebbe maggiore coscienza tra di noi dei valori universali di libertà, uguaglianza e fraternità: solo se applicati a tutti gli esseri umani, questi possono assicurare anche a noi, ebrei, un futuro migliore. Questa dovrebbe essere la base di ogni lotta contro l’antisemitismo e dell’educazione delle nuove generazioni in Israele come nella diaspora, sia tra gli ebrei sia tra i gentili.

Purtroppo, non è stato così in Israele: dalla fondazione dello stato, sulle ceneri della Shoà, nel 1948 fino ad oggi ci occupiamo quasi unicamente delle minacce esterne, prima degli stati arabi, poi del terrorismo palestinese, anche se da anni non sono più pericolo esistenziale. Dal processo a Eichman in poi l’antisemitismo mondiale è stato usato dai partiti sionisti anche di sinistra, ma soprattutto di destra, come leva per rinforzare l’identificazione con lo stato ebraico, la sua raison d’etre e la giustificazione per le difficoltà richieste ai suoi cittadini. Ultimamente l’antisemitismo nel mondo occidentale viene identificato con l’odio antiebraico del fondamentalismo islamico, derivando dalle due parti del conflitto in estremo nazionalismo.  Così pure il sospetto d’antisemitismo e la Shoà servirono troppo a lungo per ottenere assoluzione automatica di fronte a ogni critica sulle azioni del governo d’Israele. Invece non sono sottolineati quei valori universali trasmessi dall’ebraismo dei profeti e della Bibbia, attraverso il cristianesimo, e poi purificati dall’illuminismo, dalle rivoluzioni americana e francese, dalle lotte sociali e contro la schiavitù e il colonialismo, nella democrazia liberale occidentale.

Persino Benny Morris ci mette in guardia di fronte all’eventuale disastrosa deriva verso la legittimazione di delitti di guerra e persino di genocidio da parte del suprematismo ebraico che demonizza tutti gli arabi attraverso Hamas e già parla apertamente (prima ancora di Trump) di trasferimento dei palestinesi dalla striscia di Gaza, già rasa al suolo, e di ricolonizzarla con ebrei.   Dico “persino lo storico Morris”, a suo tempo idolo della sinistra perché tra i primi a mostrare la parziale ma grande responsabilità ebraica israeliana nella creazione del problema dei profughi palestinesi nel 1948. Successivamente, Morris fu “adottato” dalla destra per aver spiegato che non c’era altra possibilità per creare lo stato degli ebrei, sotto l’attacco congiunto di tutto il mondo arabo.  Ma adesso la realtà politica d’Israele, con 8 milioni di ebrei e la sua fiorente economia, non può dare legittimazione a programmi e azioni non solo immorali, ma anche tali da giustificare le accuse e le inchieste internazionali contro la vittima ultimativa trasformata in aguzzino.

Gerusalemme         14/4/2025

image_pdfScarica il PDF