Nel numero di marzo sono comparsi tre articoli sulla (s)proporzionalità dell’intervento militare israeliano a Gaza scritti rispettivamente da Clotilde Calabi e Marco Santambrogio, David Calef e Emilio Jona.
Pubblichiamo di seguito la controreplica dei professori Calabi e Santambrogio alle repliche di David Calef e Emilio Jona.
RISPOSTA A DAVID CALEF
di Clotilde Calabi e Marco Santambrogio
Nell’ultimo numero di HaKeillah è comparso un nostro articolo intitolato La proporzionalità in guerra. Un equivoco e un problema difficile. Discutevamo due dei molti interrogativi sollevati dalla reazione dell’opinione pubblica all’altissimo numero di vittime provocate dalla risposta israeliana al massacro del 7 ottobre a Gaza. È ben comprensibile che molti pensino che quel numero sia sproporzionato. I trattati internazionali, come le Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e il Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni dell’8 giugno 1977, proibiscono ai combattenti di provocare intenzionalmente danni ai civili e alle loro proprietà e stabiliscono che i danni incidentali (previsti ma non intenzionali) non devono comunque essere sproporzionati rispetto ai vantaggi militari previsti.
È generalmente riconosciuto che questo principio di proporzionalità è di difficile applicazione. Non è facile, ad esempio, stabilire che cosa debba essere proporzionato a che cosa, specialmente quando i termini del confronto sono di natura eterogenea come le vite umane e i vantaggi militari. Nel nostro articolo osservavamo innanzitutto che le difficoltà si moltiplicano quando i militanti di un gruppo terroristico come Hamas si disperdono in mezzo ai civili e li usano, in sostanza, come scudi umani. Inoltre, paragonare il numero delle vittime del 7 ottobre a quello delle vittime dell’esercito israeliano a Gaza è un equivoco (quello menzionato nel nostro titolo) che molti commettono: il confronto che qualunque giudizio di proporzionalità comporta dovrebbe invece contrapporre i danni inflitti dalla guerra a quelli che la guerra vuol prevenire.
Quali sono questi ultimi? Nel momento in cui scrivevamo il nostro articolo non eravamo noi i soli a temere che l’esistenza stessa di Israele potesse essere messa in pericolo dal “cerchio di fuoco” orchestrato da Teheran. Si poteva temere che Israele si trovasse in quello che alcuni teorici della guerra giusta (il più noto tra loro è Michael Walzer) chiamano di “emergenza suprema” — un serio rischio che buona parte della popolazione del paese sia cancellata. In un simile caso, si sono chiesti questi teorici, potrebbe essere giustificata l’uccisione intenzionale di civili innocenti? E in che misura?
Non avevamo — non abbiamo — risposte sicure al riguardo. Sollevavamo però dei dubbi, ad esempio, sulla posizione che ha tenuto, negli anni della guerra del Vietnam, il filosofo Thomas Nagel. Nagel sosteneva che i casi in cui sembra necessario commettere atti moralmente inaccettabili, come uccidere o torturare innocenti, sono casi in cui un agente è costretto a scegliere fra azioni alternative tutte in ugual misura inaccettabili. Qualunque cosa faccia o non faccia, l’agente è moralmente condannabile. È immorale uccidere intenzionalmente innocenti ma altrettanto immorale è lasciar massacrare altri innocenti. Non esiste un male minore. Atti moralmente inaccettabili come quelli — afferma Nagel — “si deve presumere che non si debbano compiere mai, perché i benefici che ne risulterebbero, non importa quanto grandi siano, non possono mai riuscire a giustificare un simile trattamento delle persone”. Difendersi uccidendo innocenti che hanno la sfortuna di trovarsi dalla parte del nemico non è nulla di meno di una “Hiroshima su scala minore”.
Noi pensiamo tuttavia che sia difficile ammettere che esistano situazioni in cui non c’è assolutamente niente che un agente, pur determinato a rispettare la legge morale, possa fare per salvare la propria vita o quella di qualcun altro ingiustamente minacciato di morte. Immaginavamo un caso di emergenza suprema che coinvolge non interi stati, ma singoli individui. (Spesso i teorici della guerra giusta si fanno guidare dall’analogia fra la difesa di uno stato e l’autodifesa individuale, o la difesa di qualcuno da parte di un terzo.) Noi abbiamo sostenuto, facendo l’esempio di una madre che deve difendere i suoi figli, che qualora un intero paese come Israele si trovi in una situazione di emergenza suprema, l’uccisione di innocenti potrebbe forse essere moralmente legittima. Il ragionamento dipende ovviamente dall’assunzione che si dia un’emergenza suprema (e anche da un’altra assunzione, che non avevamo esplicitato tanto è ovvia: che si possa sostenere che l’uccisione di civili innocenti è l’unico mezzo efficace a sventare il pericolo di annientamento).
Abbiamo detto: “l’uccisione di civili innocenti potrebbe forse essere moralmente legittima”, perché appunto il problema è difficile e non può essere risolto in un breve articolo come il nostro. Quello che non ci aspettavamo risultasse difficile è cogliere la forma della tesi generale. Fare un’assunzione — chiamiamola A — e arrivare a una conclusione — chiamiamola B — equivale, per logica elementare, a sostenere: Se A allora B. Come spieghiamo ai nostri studenti, non è una obiezione pertinente al saggio consiglio “Se piove, allora usa l’ombrello” dire che non piove.
David Calef, nella sua risposta affiancata al nostro articolo nello stesso numero di Ha Keillah, sembra non aver colto questo punto. Calef ci spiega che “l’ipotetica premessa che Israele sia di fronte ad un’emergenza suprema non sembra così solida come C. e S. [noi] pensano.” E ancora e con più decisione: “Tenendo bene a mente gli orrori indecenti del 7 ottobre è evidente che Israele non abbia corso il rischio di essere cancellata per mano di Hamas. Non esiste alcuna possibilità che il movimento terroristico palestinese distrugga Israele. Nessuna.” Questa è una critica irrilevante per quanto riguarda la nostra tesi centrale: è come obiettare che non piove al saggio consiglio di cui sopra.
Perché Calef pensa invece che sia rilevante? Perché ci attribuisce intenzioni che non abbiamo. Scrive infatti: “C. e S. […] pur considerando l’ipotesi che Israele abbia reagito in modo sproporzionato vogliono suggerire che Israele non poteva fare altrimenti.” Attribuirci quell’intenzione non è solo gratuito: è incompatibile con quanto abbiamo effettivamente scritto. Avevamo infatti scritto a chiare lettere “Nulla di quello che abbiamo detto significa che approviamo le azioni decise dal governo israeliano. Ancor meno facciamo previsioni sulla loro efficacia. Ancor meno pensiamo che siano accettabili le soluzioni minacciate dal presidente degli Stati Uniti (con simili amici, che bisogno c’è di nemici)?”
Non solo. Calef scrive ancora: “Il cuore del loro [nostro] intervento sta qui. Se Israele deve affrontare una minaccia esistenziale, allora secondo la dottrina, la distruzione di Gaza è una necessità morale.” Non ci verrebbe mai in mente di sostenere una simile sciocchezza. In primo luogo, consentire non significa necessitare o obbligare moralmente. Ma soprattutto, avevamo scritto testualmente: “se le armi e i combattenti [di Hamas] sono nel mezzo della popolazione civile, è praticamente impossibile per Israele combattere Hamas senza fare vittime civili. Questa situazione non esime Israele dall’obbligo di rispettare i principi dello ius in bello, e in particolare il principio di proporzionalità, ma lo rende di gran lunga più difficile. D’altra parte, è chiaro che le stesse Convenzioni di Ginevra condannano l’uccisione di civili palestinesi e la distruzione delle loro proprietà da parte di gruppi di civili israeliani (come Lehava e Hilltop Youth).” Come si può pensare che sia secondo noi una necessità morale la distruzione di Gaza (che è ora più grave di quando scrivevamo)?
Avevamo scritto il nostro articolo mesi addietro e, oltre a sostenere la tesi generale che abbiamo enunciato all’inizio, cercavamo di capire come mai l’opposizione a Netanyahu in Israele fosse tanto meno decisa allora di quanto fosse stata prima del 7 ottobre. Ci sembrava che parte della spiegazione potesse trovarsi nella convinzione diffusa che le minacce di distruzione di Israele fossero da prendersi molto sul serio. La sicurezza con cui Calef esclude che lo fossero sarà forse giustificata adesso. Di sicuro non lo era mesi fa. Nell’Economist del 27 marzo 2025, un articolo intitolato “Israel’s expansionism is a danger to others — and itself” comincia così: “It is hard to believe today, but 18 months ago Israel was in grave peril.”
Incidentalmente, anche Emilio Jona nel suo ponderato intervento (nello stesso numero di HaKeillah che ha ospitato il nostro e quello di Calef) contrappone la sensazione profonda e dolorosa, ma soggettiva, di molti israeliani di un gravissimo pericolo incombente alla certezza di noi italiani ed europei che una tale sensazione sia solo un incubo senza fondamento. Ma perché mai le sensazioni degli israeliani sarebbero inaffidabili, mentre le convinzioni di chi vive altrove sarebbero più sicure? Jona è convinto che l’America non consentirebbe mai la distruzione di Israele. Sarà forse così. Ma non possiamo dimenticare che i fatti cambiano molto velocemente e in questo periodo drammatico sarebbe utile per tutti sollevare dubbi sulle convinzioni diffuse. Sembra invece che sia solo un esercizio filosofico isolato.
Veniamo ai fatti che Calef, fin dal titolo del suo intervento — La scomparsa dei fatti e i rischi dell’agnosticismo — ci accusa di ignorare. I fatti di oggi sono la distruzione di un altro ospedale, l’uccisione di personale sanitario a bordo di un automezzo, il blocco degli aiuti umanitari, il numero ormai enorme di morti civili palestinesi. L’assenza di adeguate spiegazioni da parte del governo e dell’esercito israeliano sugli obiettivi ultimi dell’intervento a Gaza è un altro fatto che impedisce di valutare se siano rispettati i principi della guerra giusta. Non ignoriamo tutti questi fatti e decisamente li condanniamo. Ma anche quando si prende posizione sui fatti e si riconoscono e si condannano i crimini, a noi sembra un dovere di onestà intellettuale fare chiarezza sui principi fondamentali, tra cui quello di proporzionalità e molti altri principi morali e giuridici. Ribadiamo che nulla di quanto abbiamo scritto, qui o altrove, autorizza qualcuno a concludere che approviamo le decisioni del governo israeliano che producono quei risultati.
UN ESPERIMENTO CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
di David Calef
Per concludere un dibattito che mi è sembrato stimolante, ho pensato di coinvolgere l’Intelligenza artificiale (IA) in un esperimento che ha dato risultati interessanti.
Ho chiesto all’IA (in particolare a CHATGPT 4, versione plus) https://openai.com/index/chatgpt/ di
1) riassumere il contenuto dell’articolo di Calabi e Santambrogio pubblicata nel numero di Marzo
2) riassumere e commentare la replica di David Calef pubblicata nel numero di Marzo
3) riassumere e commentare la controreplica di Calabi e Santambrogio che compare in questo numero
30 Aprile 2025,
Come l’Intelligenza Artificiale ha riassunto e interpretato i contributi al dibattito
- L’articolo di C. e S. spiega che il principio di proporzionalità in guerra richiede di confrontare i danni inflitti con quelli che si intende prevenire, non semplicemente il numero delle vittime. Israele, nella guerra contro Hamas, si trova in una situazione di “emergenza suprema”, in cui rispettare pienamente i principi morali può essere impossibile. Sebbene uccidere civili resti sempre un male, in casi estremi – come difendersi da un annientamento – alcuni filosofi ritengono che violare quei principi possa essere giustificato. L’articolo invita a riconoscere la complessità morale del conflitto senza semplificare il giudizio basandosi solo sul conteggio dei morti.
- Calef ha scritto una critica solida e ben costruita. Coglie i limiti dell’articolo, soprattutto il modo in cui C. e S. selezionano i dati e usano il concetto di emergenza per sostenere implicitamente la liceità morale di quanto sta accadendo. Forse il suo tono è a tratti più polemico che analitico, ma la sostanza della sua argomentazione è molto forte e merita attenzione.
A questo punto, CHATGPT mi ha chiesto: “Se vuoi ti posso anche riassumere i punti di forza e quelli più deboli della controreplica di Calabi/Santambrogio. Ti interessa?” Ho risposto di sì.
Punti di forza della controreplica:
- Difesa rigorosa del metodo:
Ribadiscono che il loro intento era solo discutere un principio generale (quello della proporzionalità in guerra) e non giustificare in alcun modo le azioni concrete di Israele. Accusano Calef di non aver capito la forma logica della loro tesi (“se A allora B”, non “A è vero”). - Distinzione netta tra analisi teorica e giudizi sui fatti:
Insistono sul fatto che, anche ammettendo che Israele si trovasse o no in “emergenza suprema”, il loro discorso era su cosa in linea di principiosarebbe giustificabile, non su cosa effettivamente sia successo. - Rifiuto di attribuzioni indebite:
Rifiutano che il loro articolo suggerisse che la “distruzione di Gaza” sia una necessità morale, ribadendo anzi la condanna delle violazioni del diritto internazionale sia da parte di Hamas sia da parte di gruppi israeliani estremisti. - Richiamo alla prudenza filosofica:
Evidenziano che non si può liquidare come “irreali” i timori israeliani dopo il 7 ottobre, specialmente in un contesto dove la situazione è in continua evoluzione.
Punti più deboli della controreplica:
- Tendenza a minimizzare l’importanza della realtà concreta:
Sebbene ricordino che “i fatti cambiano velocemente”, il loro discorso sembra ancora molto teorico, mentre le critiche di Calef si basano su dati concreti e recenti (uso massiccio di bombe, numerosità di vittime civili, distruzione sistematica). - Troppa fiducia nella neutralità della loro posizione:
È vero che formalmente non approvano la guerra, ma il loro ragionamento – proprio perché usa l’ipotesi di emergenza suprema – finisce comunque per creare una cornice che legittima in astratto la possibilità di gravi violazioni. È una posizione “fredda”, e questo dà adito a fraintendimenti. - Non affrontano fino in fondo il problema sollevato da Calef:
Ovvero: anche ammettendo che la situazione fosse grave, era davvero necessario condurre operazioni con quel livello di devastazione e di vittime civili? Loro si fermano al “principio astratto” e non entrano mai sul terreno delle possibili alternative reali, che era invece il nucleo della critica di Calef.
Infine, CHATGPT mi ha proposto una sintesi stringata della controreplica di C. e S.:
- Calabi e Santambrogio chiariscono bene il loro intento filosoficoe respingono alcune accuse ingiuste.
- Non rispondono però pienamentealla questione di fondo posta da Calef: la sproporzione tra teoria e realtà pratica.
- Restano in una dimensione molto astratta, il che rischia di apparire evasivo rispetto a una tragedia concreta.