di Riccardo Abram Correggia
Riccardo Abram Correggia, dottorando in storia contemporanea alla Scuola Normale di Pisa, collabora con la Fondazione CDEC e con il Memoriale di Milano. Ha gestito l’Hashomer Hatzair di Milano e Torino.
Benjamin è una collezione di citazioni infinita. Sono state usate, e continuano a essere usate, in fin troppe situazioni. Spesso dalle sue frasi si estrapola ciò per cui sono state scritte da Benjamin stesso, molte altre volte le sue parole vengono completamente travisate. Penso che tutto sommato ciò non gli dispiacesse troppo.
Nel leggere il suo “Sul concetto di storia” ci si imbatte in questa affermazione perentoria.
“Nulla di quanto mai sia accaduto è perso per la storia.”
Come si può negare una frase simile? Certo, tutti gli avvenimenti lasciano una traccia, seppur flebile, nella storia con la S maiuscola. La civiltà ebraica, che dello Zakhor ha fatto una politica, ne è ben consapevole. Un evento viene tramandato di generazione in generazione per cristallizzarsi nelle nostre menti, una memoria che si fa storia, indiscussa e indiscutibile. Secondo la mia versione di giovane ricercatore perplesso senza nessuna aspirazione particolare, è triste e pericoloso pensare che la storia (con la S maiuscola) abbia già detto tutto e che non ci siano scoperte o interpretazioni che possano farci vedere un periodo storico, appunto, con delle nuove lenti.
Ci tengo a chiarire che non mi sono svegliato questa mattina dal lato storto del letto con il desiderio di criticare tutto e tutti, né tantomeno intendo affermare che bisogna fare storia con gli occhi dell’oggi, ma questo articolo nasce da una problematica attuale. Nel libro “Contesting Archives”, curato ormai qualche anno fa da Nupur Chauduri, gli autori dei contributi facevano notare, a ragion veduta, che ci sono alcune frange della storia che nella Storia non hanno parte, non solo da un punto di vista contenutistico, ma anche fisico, negli archivi. Non per “colpa” degli archivi, ma di chi pensa che lì dentro ci sia tutto lo scibile umano. Non è così, neanche lontanamente. E non sarebbe un problema, se non ci fosse una tendenza costante a cristallizzare delle interpretazioni che diventano così dei miti all’interno delle nostre comunità.
Senza scomodare temi che potrebbero urtare troppi lettori, basterebbe pensare ad un momento visto come assiomatico nella storia ebraica attuale e che puntualmente, ogni 25 aprile, riemerge nuovamente. La Brigata Ebraica. Ritengo che sia importante rileggere quella storia, renderla più complessa di quanto non venga descritta anno dopo anno. È giusto sottolineare che quello della Brigata Ebraica sia un caso speciale nel contesto dell’arruolamento di personale nei territori sotto controllo britannico. Non per questo devono essere tralasciate altre storie. Al di là della Brigata ufficiale c’erano in Italia, da prima degli uomini della Brigata, ebrei ed ebree del Mandato con le uniformi kaki dell’esercito inglese che facevano importantissime operazioni di guerra in compagnie miste. Un caso esemplare è quello di Hadassa Melamed. Nata a Rishon Le Zion nel 1918, arruolata in una compagnia mista ebraica ed araba ad inizio 1944 e, dopo un campo di formazione in Egitto, andata in Italia. Lì svolge i suoi compiti di ausiliaria dell’esercito, guida, cura e organizza, passa da Napoli, dove insieme ad altre soldatesse mette in piedi uno spettacolo di Purim per coloro che rimanevano della comunità locale (interpreta Achashverosh), passa da Roma, dove insegna ebraico e narra alla famiglia delle bellezze della città, e poi torna a Rishon le Zion. La sua storia tocca solo lateralmente quella della Brigata, ma è veramente meno importante? Onestamente non credo. Il ruolo delle donne provenienti dal Mandato Palestinese e attive sulla penisola italiana tra il 1943 e il 1946 potrebbe essere riconsiderato e aiutarci a vedere le “nostre” storie sotto una luce più complessa? Io penso di sì.
Qual è la soluzione a tutto ciò? Penso sia l’apertura mentale, la serietà di analisi e la volontà di mettere in discussione – che non vuol dire distruggere o cancellare – per poter meglio scandagliare la complessità del nostro passato e del nostro presente.
Quanti degli avvenimenti che vengono citati in ogni luogo di dibattito pubblico potrebbero essere rianalizzati, riscoperti, reinterpretati. Questo non vuol dire negarli, quanto vederli con un paio di occhiali nuovi: ciò che cambia non è l’avvenimento stesso, è ciò che pensiamo di vedere di esso.