di David Calef

Ho trascorso di recente un paio di pomeriggi a leggere i numeri di HaKeillah pubblicati tra il 1975 e il 1985: volevo tra le altre cose cercare conferma che Primo Levi avesse collaborato alla rivista del Gruppo di Studi Ebraici .

Nella mia breve ricerca archivistica ho trovato un paio di reperti interessanti. Nel numero di aprile 1979, HaKeillah pubblica un breve frammento dell’esperienza di Levi nel campo di sterminio – Ad Auschwitz il comitato segreto di difesa – poi incluso nella raccolta di testi Cosí fu Auschwitz – Testimonianze 1945-1986 (Einaudi, 2015). Nel frammento compare un Kapo ebreo polacco che «picchiava deliberatamente, a freddo, per fare male, con una crudeltà sottile intesa a provocare sofferenza ed umiliazione». Levi racconta che fine fa il Kapo. Come osservano i curatori della raccolta, Fabio Levi e Domenico Scarpa, l’episodio compare citato quasi alla lettera nel terzo capitolo de I sommersi e i salvati.
Ancora più interessante è stato leggere un’intervista a Levi dello stesso periodo (febbraio 1979), fatta da Giorgina Arian Levi – allora direttrice di HaKeillah – in occasione della pubblicazione di La Chiave a stella.
Dopo aver evocato alcuni temi centrali del libro (il montatore di gru Faussone, la lingua di Faussone), l’intervista affronta il tema dei campi di sterminio. Mi sembra giusto ricordare oggi, nel cinquantesimo anniversario di HaKeillah, che Levi affrontò – credo per la prima volta sulla stampa italiana – uno degli argomenti centrali dei Sommersi e i salvati, pubblicato sette anni dopo.
Levi risponde a Arian Levi: «Ma il tema del rapporto tra la vittima e il carnefice, nelle sue sfumature è un tema da indagare. È soprattutto da rifiutare l’interpretazione più ingenua, che ci sia da una parte l’oppressore puro, senza dubbi metodici, senza esitazioni e dall’altra la vittima santificata dal suo ruolo di vittima. Non è così. La macchina umana, l’animale umano è più complicato. Coloro che erano stati chiamati aguzzini, non erano aguzzini allo stato puro: erano uomini come noi che sono entrati nel ruolo di aguzzini per qualche motivo».

Due mesi più tardi Primo Levi ritorna sull’argomento nelle pagine di HaTikwa. All’intervistatore Giorgio Segrè, che lo sollecita ad elaborare l’argomento sollevato sul bimestrale torinese, Levi risponde: «Se sono stato vago in quell’intervista è perché sono tuttora vago su questi argomenti… questo binomio, la vittima e l’aguzzino va studiato. Bisogna capire perché l’aguzzino è diventato aguzzino. Per quali vie. Se veramente era un aguzzino o forse invece no. Forse era uno che seguiva tutti i compiti, tutti i gesti, tutti gli atti dell’aguzzino. Ma era uno come noi. Io di mostri non ne ho visti neanche uno. Erano gente come noi che agiva in quel modo per il fatto che esisteva un fascismo o un nazismo in Germania».
Nel 1986, nella penultima pagina dei Sommersi e i salvati, Levi distillerà il pensiero condiviso con HaKeillah, con HaTikwa e in altre interviste del periodo con le parole che sono o dovrebbero essere note a tutti:

Ci viene chiesto dai giovani,… di che stoffa erano fatti, i nostri «aguzzini». Il termine allude ai nostri ex custodi, alle SS e, a mio parere, è improprio: fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un vizio d’origine. Invece erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni, non erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male.”

La riflessione di Levi disorienta perché rende difficile o più difficile cullarci nell’illusione che le atrocità dei lager, le crudeltà che configurano crimini di guerra possono essere commesse solo da uomini che non sono più tali. Da barbari efferati. Da “aguzzini”. Levi ci rammenta da oltre 40 anni che questo è un inganno. Se educato male chiunque può commettere atrocità.

Nota. Come molti sanno il frammento apparso sulle pagine di HaKeillah segna una piccola tappa nel lungo percorso che Levi intraprese per elaborare le idee formulate compiutamente ne I sommersi e i salvati. Per seguire tutti i passi che segnano la genesi del libro, è utile leggere il saggio I sommersi e i salvati di Primo Levi. Storia di un libro (Francoforte 1959 – Torino 1986), Einaudi 2024, nel quale Martina Mengoni ricostruisce il modo in cui Levi ha rielaborato nel corso di quasi trent’anni le sollecitazioni e le idee nate in seguito alla prigionia ad Auschwitz.

 

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