di Beppe Segre

L’ultimo numero (luglio 2023) di Ha Keillah conteneva l’articolo “Resistenza in Piemonte. Il contributo degli ebrei” di Manfredo Montagnana, che si concludeva proponendo ai lettori di inviare ricordi e testimonianze riguardanti parenti ed amici ebrei che avevano aderito alla resistenza. Citando l’abbondante materiale documentale esistente presso diversi archivi, si sottolineava l’importanza di far rivivere i valori sostenuti dagli antifascisti anche attraverso racconti personali e familiari. Si spera di esprimere così la nostra riconoscenza ai partigiani e a tutti gli oppositori al regime nazifascista, agli “uomini liberi / che volontari si adunarono / per dignità e non per odio / decisi a riscattare /  la vergogna e il terrore del mondo” evocati da Piero Calamandrei. Il ricordo di Enrico Loewenthal proposto nello stesso numero di Ha Keillah sembra muoversi secondo questa prospettiva, così come il seguente articolo.

STEREOTIPI

Uno degli stereotipi che afflissero il popolo ebraico per secoli di storia, tra accuse di usura, di deicidio e di azzime inumidite del sangue dei bambini cristiani rapiti, riguarda l’accusa di essere un popolo imbelle, capace di lasciarsi ammazzare senza reagire, “come agnelli al  macello”.
Eppure sarebbe bastato ricordare l’insurrezione del ghetto di Varsavia, prima città in tutta Europa che osò reagire alla distruzione,  con l’ausilio solo di qualche bottiglia Molotov e pochi vecchi fucili, resistendo per più di un mese all’esercito nazista. L’espressione: “Come agnelli al macello” ha una storia complessa e dolorosa. È la stessa frase scritta da Abba Kovner, uno dei leader della resistenza a Vilnius, nel famoso proclama del primo gennaio 1942 e che, diffuso in tutti i ghetti europei, spinse gli ebrei alla lotta e alla resistenza armata. La stessa frase, rovesciata di significato, è usata per la svalutazione del popolo ebraico. Lo slogan dei combattenti ebrei contro il nazifascismo viene rovesciato in accuse di passività e di codardia. Antisemitismo, ignoranza o ambedue?

Non ho dimenticato, nonostante i decenni intercorsi, quando sentii per la prima volta questa espressione.
Frequentavo il ginnasio a Saluzzo nei primi anni  ’60, ricordo in particolare una giornata in cui noi studenti fummo radunati nella Sala Grande del Cinema Italia, per  una importante giornata di studio e di memoria sulla Shoà, alla presenza di storici, testimoni, docenti, autorità.
Al termine delle relazioni, chi presiedeva i lavori chiese se c’erano domande da parte  del pubblico, come si usa in questi casi.
Si alzò subito un ragazzo degli ultimi  anni del Liceo e chiese come mai nessun ebreo si fosse opposto al regime fascista, nessuno avesse reagito, mai.
Si avvicinò al microfono allora un signore alto e distinto, con un elegante impermeabile grigio, che chiese la parola.
“Non è esatto – disse più o meno – ci fu anche chi organizzò un gruppo antifascista e distribuì propaganda contro il regime, e questo nel 1934, prima che avvenisse ogni altro evento”, poi si scusò ma doveva lasciarci, per essere a Torino presto per una questione di lavoro.
Solo allora il moderatore spiegò che quella persona, che non aveva detto chi era –  era il dottor Sion Segre Amar, condannato dal Tribunale Speciale a tre anni di reclusione per  attività antifascista.

Penso che episodi come questo facciano capire che, se la guerra si fosse conclusa in modo diverso, nessuno di noi sarebbe oggi in vita, facendoci sentire per sempre debitori nei confronti di chi ha lottato contro il nazifascismo.


Sion Segre Amar

Sion Segre Amar, attivo antifascista nel movimento Giustizia e Libertà, venne arrestato l’11 marzo 1934 a Ponte Tresa mentre cercava di introdurre in Italia volantini contro il regime e successivamente condannato a tre anni di detenzione. Nel 1939 lasciò l’Italia per la Palestina dove rimase fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale; lavorò alla Radio Britannica del Mediterraneo che, da Gerusalemme prima e da Tunisi poi, trasmetteva per le truppe italiane. Rientrato in Italia nel 1945, fu presidente della Comunità Ebraica di Torino negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso e tra i fondatori dell’associazione Amicizia Ebraico Cristiana di Torino.

A vent’anni dalla sua morte, è stato ricordato il 12 settembre ‘23 al Circolo dei Lettori di Torino.

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