di Paolo Momigliano
Carlo Spartaco Capogreco e il contributo dell’Italia fascista alla deportazione degli ebrei
Nel 1987, Carlo Spartaco Capogreco pubblica, per i tipi della Giuntina, la monografia Ferramonti. La vita e gli uomini del più grande campo d’internamento fascista 1940-1945.
Il ritardo della storiografia su di un tema tutt’altro che secondario come quello della politica concentrazionaria, imposta da Mussolini dopo l’emanazione delle leggi antiebraiche del 1938, era grave. Con quell’opera Capogreco ruppe un diffuso silenzio, partendo dal più grande campo situato nel meridione d’Italia: quello di Ferramonti di Tarsia, che ospitò sino a 2700 persone, in massima parte ebrei (1600).
Il loro “confino”, a partire dall’ inizio della guerra e sino al 1943 era un fatto nuovo nella storia dell’ebraismo italiano e se non ebbe esiti drammatici fu solo grazie al fatto che il campo sarà liberato dagli Americani che, dalla Sicilia, risalivano verso il Nord del paese, occupato dai Tedeschi.
Il campo di Ferramonti di Tarsia non era che la punta di diamante di una serie relativamente estesa, per numero e per dislocazione, di analoghi campi d’internamento, allestiti sotto il governo di Mussolini. Per realizzare 48 campi di concentramento nell’Italia centro-meridionale, il governo, sottolinea Capogreco, spese ben 35 milioni di lire. Dei 48 campi, destinati soprattutto alla dissidenza civile, poco più della metà vide la presenza coatta di ebrei. Accanto ai “campi”, i numerosi “luoghi” d’internamento, nei comuni di 63 province, metà delle quali nell’Italia centro-settentrionale.
Come si venne dispiegando la politica antiebraica, nel corso della guerra? Dove e perché si procedette a rinchiudere gli ebrei, italiani e stranieri, in strutture chiuse, controllate dal regime?
In questa direzione si è mossa, anni più tardi, la ricerca di Capogreco, che nel 2004 pubblicò per Einaudi il volume I campi del duce – L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943). Un testo riedito tre volte e tradotto in inglese, in serbo e in croato.
La storiografia sulla persecuzione degli ebrei in Italia stava facendo in quegli anni notevoli passi in avanti, e imponeva di rivedere l'”adagio” molto diffuso degli “italiani brava gente”.
Come vissero, isolati dai loro contesti familiari e sociali gli ebrei italiani arrestati perché ritenuti oppositori pericolosi? Come vissero i tanti ebrei stranieri, che avevano cercato in Italia un rifugio precario, ma lontano dalla Germania nazista, dall’Austria e dai paesi già occupati dai tedeschi? Come vi giunsero gli ebrei d’Europa già toccati dall’esperienza dello sterminio sistematico e in qualche caso “salvati” dallo stesso regime fascista, quando il suo esercito trasferì in Italia gli ebrei in fuga dalla Croazia, sconvolta dalle crudeltà dei nazisti e degli ustascia?
L’adagio “italiani brava gente” mostra, però, tutti i suoi limiti quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 e l’occupazione tedesca dell’Italia Centro settentrionale, fu ancora Mussolini a ispirare la politica antiebraica messa in atto dai responsabili della Repubblica sociale italiana, ma in posizione subalterna rispetto agli occupanti nazisti.
Il giro di vite che trasformò la politica dei campi d’internamento era evidente. Era sufficiente leggere quel punto 7 del Manifesto di Verona, che recitava: Tutti gli ebrei sono stranieri; nella guerra attuale essi fanno parte di nazionalità nemica. Espressioni lapidarie, per passare dalla cancellazione dei diritti, operata con le leggi del 1938, alla cancellazione delle vite.
Un omaggio raccapricciante al progetto tedesco di ” soluzione finale” per tutti gli ebrei, nessuno escluso e senza distinzione alcuna.
A questo punto Capogreco ha affrontato l’ultimo tratto di questo suo documentato percorso di ricerca sui campi di concentramento. Ne è nato il libro, oggi in libreria, I campi di Salò. Internamento ebraico e Shoah italiana.
Il lettore vi troverà, accanto ai campi di segregazione, ancora attivi, realizzati prima della fuga del re a Brindisi, 22 nuovi campi, per altrettante province, sotto il controllo della Repubblica di Salò. In 22 province su 58, dove non si istituì il campo di concentramento, gli ebrei e le loro famiglie, che divisi per province erano spesso poche decine, una volta arrestati, furono rinchiusi nelle carceri giudiziarie, nelle camerate di qualche caserma, dovunque fosse possibile trovare una soluzione per la detenzione. Un rete, comunque, capillare, per ridurre in prigionia meno di 40.000 ebrei italiani, sparsi in città grandi e piccole, ora sfollati e nascosti in diverse località.
I “campi”, nel linguaggio della burocrazia dipendente dalla Repubblica di Salò, erano comunque di “concentramento”, in attesa di ulteriori disposizioni, che porteranno ai “campi di sterminio”.
La locuzione fortemente burocratica include scuole, colonie elioterapiche, cascine e anche ville di privati assenti e edifici di proprietà della Chiesa e addirittura delle stesse comunità ebraiche.
Di tutti i campi provinciali Capogreco ci ha fornito una mappa dettagliata, fatta di numeri, ma soprattutto di intere famiglie ebraiche, isolate e sgomente, ignare del futuro; una mappa, inserita nel più ampio contesto delle persecuzioni , a partire dalle leggi razziste, per finire nei campi di sterminio; una successione di violenze crescenti ricostruita con dovizia di note (circa cento pagine), inserita nella storia delle persecuzioni ebraiche sotto la dittatura fascista, storia raccontata, con grande chiarezza.
Pagine che fanno pensare soprattutto alle vittime innocenti, ignare del perché del presente, incerte sul futuro, comunque angosciate, anche laddove le condizioni materiali di vita non erano insostenibili; pagine che fanno pensare anche all’obbedienza cieca, alimentata dal pregiudizio e dalla propaganda, delle autorità controllate dalla Repubblica di Salò, che in via gerarchica se ne occuparono; ma la ricostruzione fatta da Capogreco, molto attenta al dato umano dei prigionieri e anche alla storia di lungo periodo delle comunità ebraiche da secoli insediate in Italia, induce anche ad una riflessione sul relativo fallimento dell’intento persecutorio. Un rigurgito irrazionale di violenza in un’Italia stremata dalla guerra; un rigurgito fortunatamente contrastato dall’umanità e dal coraggio dei tanti che riuscirono, in modi diversi, a salvare ebrei dallo sterminio.
È difficile, ma è possibile essere “giusti”. Così come è doveroso preoccuparsi, come accenna Capogreco nel testo, del rinascente antiebraismo, alimentato oggi nel mondo dalla reazione del governo israeliano al massacro di coloni e di giovani ebrei sterminati ad un raduno festoso il 7 ottobre del 2023 e dall’estremismo di Hamas, alla guida dei palestinesi della striscia di Gaza, un immenso carcere a cielo aperto.
Di tutte queste vicende, dice Capogreco, si può e si deve fare memoria, ma soprattutto si deve fare storia. La prima spesso svanisce nell’oblio e l’oblio favorisce la rimozione. La seconda, la storia, intesa con rigore scientifico e impegno civile, ha guidato Capogreco a disegnare in una “mappa” la topografia del sistema italiano di concentrazione e di deportazione e di disegnare con perizia una carta di quell'”atlante storico” ch’egli raccomanda ai suoi studenti di storia contemporanea, all’Università della Calabria, di portare sempre con sé. E noi con loro.
Carlo Spartaco Capogreco – I campi di Salò Internamento ebraico e Shoah in Italia – Einaudi Storia, Torino, marzo 2025 (pag. 448, € 30)